E' questa l'Italia che (non) dialoga con l'Europa. Uno Stato, il nostro, sempre meno contento di essere comunitario. Che poi, l'Unione europea come comunità è mai esistita? No, dicono in molti. Ni, balbettano alcuni.
Dai primi tepori primaverili non si fa che parlare di emergenza immigrazione. E il passo falso prende slancio già dal sostantivo usato. Immigrazione: i timori italiani non sono causati dallo spostamento di massa (migrazione) di disperati a ondate. Questi timori sono particolaristici, poiché puntano il dito sui problemi interni che il Paese deve affrontare in seguito agli sbarchi dei profughi. Per certi versi un discorso legittimo, se usato come ricerca di supporto internazionale per salvare vite umane, per altri versi svantaggiante. Proprio così: nel cantilenante piagnucolio che i politici nostrani portano in sede Ue a essere sottolineato è un interesse individuale (dell'Italia, appunto), non certo comunitario. E quindi, per quanto legittimo esso sia, la sua risonanza ha una cassa più minuta. Ognuno pensa a se stesso o al bene comune, non al bene esclusivo dell'altro, anche nella santissima Unione europea.
E poi ci sono i formaggi. Circa un mese fa i media nazionali sembravano impazziti al suon di quella che udivano come vera e propria eresia: l'Europa ci impone il formaggio senza latte, l'Ue distrugge le nostre prestigiose tradizioni, la Merkel ce l'ha con le mucche emiliane e con le bufale campane. Tra furor e indignazione era intervenuta anche la Coldiretti, denunciando il provvedimento comunitario. Peccato che bastasse leggere un po' più attentamente il messaggio: la Commissione dell'Unione europea non ci ha mai imposto di produrre formaggi senza latte, ma ha semmai decretato l'incostituzionalità di una legge - la n. 138 del 1974 - che vietava l'utilizzo di latte in polvere nella realizzazione di prodotti caseari. Avrà il suo bel da dire la Coldiretti nel voler garantire la qualità e la sicurezza di formaggi apprezzati e conosciuti in tutto il mondo. Ma chi si oppone al provvedimento comunitario, crede davvero che esso sia mirato a svantaggiare il grana padano o il gorgonzola dop? In realtà il richiamo aveva una motivazione opposta: tutelare la concorrenza sul mercato e impedire che alcuni produttori italiani fossero svantaggiati da una regolamentazione differente rispetto al resto d'Europa. La nuova regola, per giunta, non acceca il consumatore, che ha ancora la facoltà di leggere le etichette nutrizionali e gli ingredienti di quanto acquista.
Infine, è della scorsa settimana la querelle sulle nozze gay. Strasburgo ha condannato il nostro Paese per violazione dei diritti umani: precisamente, per il mancato rispetto dell'art. 8 della Convenzione dei diritti dell'uomo, che tutela la vita familiare e privata. Il caso è stato sollevato da tre coppie omosessuali italiane che hanno fatto ricorso alla Corte di Strasburgo contro l'impossibilità di vedersi legalmente riconosciuta in patria l'unione. Se entro tre mesi lo Stato italiano o le controparti non faranno ricorso alla Grande Camera per un nuovo esame, la sentenza diverrà definitiva e a ciascuno dei sei cittadini dovranno essere rimborsati cinquemila euro di danni morali.
Politici e partiti (dall'estrema sinistra al centro destra) si sono sbracciati per plaudire alla bontà di una simile sentenza. Giustizia è fatta, brava Europa. Già, ma perché alla legge sulla legalizzazione delle unioni gay, promessa da tempi immemori, nessuno ci ha più messo mano? (che siamo il Paese del Papa è una scusa che sa un po' di naftalina). D'altro canto, fa un po' ridere l'espressione inorgoglita con la quale è stato giustificato il verdetto di Strasburgo: "La Corte sottolinea che tra i Paesi membri del Consiglio d'Europa c'è la tendenza a riconoscere i matrimoni omosessuali, con 24 su 47 Stati che hanno adottato una legislazione in tal senso...". 24 su 47 non pare proprio un dato incoraggiante.