venerdì 2 ottobre 2015

#Instagram, #riti e #manie

Chiamatela realtà di secondo grado. O magico potere del cancelletto, anzi, dell'hashtag, ché i nati dopo il 1990 non sanno nemmeno che cos'è un cancelletto. E' il mondo digitalizzato e reimpastato in un caleidoscopio di filtri vintage e psichedelici, che espungono dallo schermo le brutture della vita.

Instagram è un concentrato attivo di iper connessione e vanità sociale: unisce la vocazione popolare di Facebook con il tono elitario di Twitter, appagando l'imperativo categorico del terzo millennio. #iocisono. Come i suoi due fratelli e antesignani, all'inizio era un salotto d'élite: in pochi ne erano a conoscenza e solo qualche graphic addicted lo usava con costanza. Da due anni a questa parte è tutto cambiato e il portale conta oggi 400 milioni di utenti attivi ogni mese. Non solo maghi dello scatto, ma chiunque abbia intuito - o sia stato stregato da - il potere dell'immagine.

Ci sono profili aperti e profili chiusi. Questi ultimi funzionano un po' come Facebook: per seguirli è necessario chiedere il consenso a chi ne è proprietario. La ragione, fondata per lo più sulla privacy, vacilla davanti alla natura di questo social network, in cui, al contrario del sito bianco e blu, gli utenti mirano a raccogliere il numero più elevato possibile di followers. E' però pacifico che la richiesta di un permesso solo per vedere fotografie tende a intimorire e a scoraggiare, per cui la maggior parte dei profili che puntano a collezionare seguaci rimangono aperti.

Ma attenzione alla tecnologia: se non sapete usare la fotocamera dello smartphone o non avete ben capito come funziona l'applicazione Instagram, vi conviene procedere con cautela. Rischiereste, altrimenti, di fare la fine di @abenini. La donna ha raccontato a Rivista Studio di aver "casualmente" trovato un profilo Instragram con il suo volto. Peccato che nelle fotografie postate ci fosse ben poca faccia e molto più corpo: autoscatti in bikini e in pose frivole risalenti al 2010, dove la povera @abenini, nel frattempo sposata e con figli, non si riconosceva assolutamente. All'inizo - ricorda la sventurata - pensai a un furto di identità, qualcuno che avesse creato un profilo fake con i miei dati e le mie foto. Solo in un secondo momento mi sono resa conto che quel profilo era il MIO e che a postare le immagini ero stata IO. Anche se inavvertitamente. Nel 2010 @abenini si era registrata su Instagram solo per osservare le vite degli altri, ma non intendeva postare nulla. A farlo ci ha però pensato l'applicazione per lei, attraverso un meccanismo di pubblicazione automatica degli scatti realizzati con la fotocamera del cellulare. Quindi ogni prova abito, ogni selfie malriuscito, ogni click osé era finito sotto gli occhi del popolo virtuale. E con un sacco di curicini (l'icona usata su Instagram per dire "mi piace").



Al di là delle sventure, esistono mondi nascosti all'interno di quell'icona marrone. Per esempio, gruppi di auto-aiuto per combattere problemi psichici, comunità i cui membri, non numerati ma schedati, si seguono a vicenda per farsi forza, dialogando attraverso fotografie e commenti alle stesse. Ci sono poi fanatici di moda, di cibo e di sport che creano profili tematici. Adesso anche le multinazionali hanno puntato gli occhi sulla piattaforma, generando pagine pubblicitarie a pagamento. La differenza rispetto agli esercenti che decidono di promuoversi attraverso Instagram e lo fanno mediante la registrazione gratuita è che - visto che pagano - le immagini degli inserzionisti (di fatto questo sono) invadono la home degli utenti senza che questi possano cliccare il tasto "non seguire più".

Ma se grazie ai filtri e ai ritagli iniziate a sentirvi tutti Helmut Newton o Henri Cartier-Bresson, ci pensa Champoo Baritone a smontare le vostre arie. La fotografa thailandese ha realizzato un progetto di svelamento dei trucchi di Instagram, mettendo in evidenza la laida realtà che si cela dietro i ritagli e le luci soffuse. E' proprio il caso di dirlo: non è mai come sembra.



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