Iniziate col non sbuffare davanti a questo titolo. Anche se è vero, in occasione della giornata mondiale della gentilezza il web è stato invaso da post e articoli che sembrano prelevati direttamente dal libro Cuore. Eppure questa ennesima - va da sé inutile - celebrazione (non mi stupirei se istituissero anche una giornata mondiale dei fazzoletti di carta) offre lo spunto per ragionare sul contatto con l'altro e sulla percezione di sé.
Che cosa vuol dire essere gentili? E' proprio vero che basta un sorriso, un grazie o un prego? Forse, sempre che poi non ci volti facendo una smorfia o non si mandi mentalmente a quel paese l'interlocutore. Per carità, ognuno nella sua testa può fare quel che vuole, ma il buon viso a cattivo gioco, oltre a non essere esattamente sinonimo di gentilezza, avvelena la serenità di chi lo pratica e delle relazioni.
Quante volte abbiamo suonato il clacson spazientiti davanti a un semaforo divenuto rosso per colpa della lentezza dell'autista davanti a noi. O a rispondere male all'impiegato del call center che ci chiama proprio mentre stiamo uscendo (in ritardo) per proporci l'ultima offerta Vodafone. Piccoli esempi dell'impazienza acida che sgorga dalle nostre vite nervose. In questi casi sì, vale la pena fare un respiro e trattenere il veleno. In una parola: empatizzare. Pensare cioè a quando avevamo appena preso la patente e facevamo i 50 all'ora cantando "Voglio una vita spericolataaa" o a come si starà divertendo il centralinista a ripetere tutto il giorno la stessa cosa e a sentirsi insultare ad ogni chiamata.
Meglio essere davvero antipatici quando ce n'è bisogno. Rispondere male alla carogna che ci ha fatto un torto reale e volontario, anche se ciò potrebbe compromettere le nostre relazioni diplomatiche. E sorridere invece sul serio allo sconosciuto per strada. O dire un grazie e buona giornata all'edicolante che ci ha appena venduto il giornale. La gentilezza si autoalimenta ed è contagiosa: anche la persona più rude non potrà far altro che arrendersi al garbo. Le giornate pesanti e i problemi personali non sono mai una scusa valida: tutti li hanno e non ce ne sono di più o meno gravi, perché ognuno ha quanto riesce a sopportare, quindi la sofferenza umana si uniforma su un medio livello di lotta alla sopravvivenza costellata da picchi di gioia e di dolore. Essere gentili, in questo senso, aiuta a sopportare meglio la quotidianità.
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