Produceva
lo stesso effetto di una seduta di kick-boxing. O delle imprecazioni a
squarciagola in cima a una montagna. Solo che lo potevi usare seduto comodo in
poltrona, davanti alla tv o meglio ancora pigiando con violenza i tasti del computer
per scrivere commenti infervorati sul suo blog o sulla sua pagina facebook. O
retweettando i suoi cinguettii poco soavi.
Esploso
con l’energia iconicamente espressa anche dal suo cognome, Beppe Grillo pare
oggi trasformato in un cigno. Ma non il frutto della metamorfosi dopo essere
stato brutto anatroccolo, quanto il protagonista di un’ultima danza, prima di
restare a terra. Inerme.
Sembra
un’altra epoca quella del Vaffaday, delle urlate in piazza e del
democraticissimo blog che spopolava in una ancora non democraticissima rete.
D’altronde erano gli albori del terzo millennio, e in Italia l’efficienza
tecnologica di internet lasciava eccome a desiderare. Funzionavano molto meglio
i messaggini sul cellulare e gli show televisivi di Silvio Berlusconi. Per la
maggior parte degli italiani wi-fi poteva benissimo essere il nome di una
compagnia telefonica giapponese.
Ma
dal 2008 le cose sono cambiate.
Che
cosa ha portato un comico genovese a diventare fortunato attivista e poi
neonato politico, soffocato però nella culla? Di certo questa climax a- e
discendente è il prodotto di una miscellanea politica, economica e sociale.
Grillo ha fatto della rabbia la sua fortuna. E gli italiani avevano sì di che
essere arrabbiati. A partire dalla politica: una recita mal riuscita, in cui
gli attori dimenticano il copione e ricorrono quindi alle battute di repertorio
per non sfigurare. E così, una sinistra debole e insicura perde l’occasione per
realizzare le tanto attese riforme e si fa travolgere dalle polemiche sull’oppressione
fiscale. Ghe pensa dunque Silvio, con
il governo di centro-destra succeduto a Prodi, a dare il contentino agli
italiani: un bel condono e qualche legge anti-razziale made by Lega Nord per
placare gli animi. Ma gli uomini di palazzo non sarebbero riusciti a evitare il
lancio dei pomodori se…questi non fossero costati troppo. Si apre infatti la
Grande Crisi. Quella che dai mutui subprime arriva nei nostri supermercati,
nelle aziende, nelle case. E allora, forse, qualche italiano (di troppo) preferisce
passare il tempo libero su facebook piuttosto che andare al cinema a vedere
l’ultima americanata. E sul web scopre Beppe. E da Grillo nascono i grillini,
arrabbiati tanto quanto lui, forse di più. E la situazione intorno non fa che
alimentare l’astio. E le voci non divengono mai troppo rauche per smettere di
gridare no ai giochi di palazzo, no alla corruzione, no alle istituzioni. No
alla politica, insomma. Salvo poi opportuni ripensamenti. Se voglio sconfiggere
i politici, devo diventare politico anche io, ha pensato il comico genovese. E
così ecco le liste civiche a 5 stelle. E la candidatura diretta di Grillo alle
primarie del Pd qualche mese più tardi. E la fondazione del MoVimento 5 Stelle,
divenuto vero e proprio partito, l’anno successivo.
Non
era già un segno di incoerenza questo? Per molti sì, ma per tanti altri era il
solo modo per sconfiggere l’incoerenza stessa. Fare politica per annientare la
politica. Peccato che una civiltà moderna non possa vivere senza. Non a caso il
termine politica contiene in sé il sostantivo greco polìs, la città, inteso più
ampiamente come vivere sociale. E una forza può anche essere dirompente e utile
quando si tratta di fare pulizia, ma per far crescere buoni frutti ci vuole
terra fertile, bisogna potare gli alberi malati e non sradicarli. Una forza è
davvero tale se non si limita a distruggere, ma costruisce anche.
E
così si arriva all’ultimo anno. Grillo ha avuto la strada spianata nel 2013,
quando il resto del mondo politico nostrano annaspava su salvagenti bucati nel
mare burrascoso della crisi. La rabbia funzionava ancora. Poi però di forza ne
è arrivata un’altra, che ha proposto una carica positiva al posto di quelle
negative presenti fino ad allora. Quindi al posto del vittimismo egocentrico di
Berlusconi e delle urla grilline, così forti da non permettere nemmeno di
decifrarne il contenuto, si è sostituito un nuovo clima politico. Sole caldo ma
che non brucia, qualche nuvola per evitare di scottarsi. Venticello leggero,
giusto per ricordarci che non siamo ai Caraibi. Fuor di metafora, non la
scomparsa delle piaghe italiane, ma la possibilità di risanarle. Un nome:
Matteo Renzi. Una parola: speranza.
Allora
era “solo” sindaco di Firenze. E, a dirla tutta, non stava simpatico alla
maggior parte dei politici navigati. Come avrebbe potuto, d’altronde, se il suo
augurio nei loro confronti era di andare in pensione al più presto? Che poi,
viste le pensioni in Italia, nemmeno sapeva molto di buon auspicio.
Rimarrà
nella storia come il rottamatore. D’Alema in primis, ma anche Bersani, Prodi e
ovviamente Rutelli, Casini, Bossi e Berlusconi: avevano fatto tutti il loro
tempo. E Grillo? Gli mancava una carta fondamentale: la diplomazia, la capacità
di relazionarsi, di accogliere e non solo portare istanze. Non riusciva a dare
quella sicurezza che avrebbe invece fatto dire agli italiani: diamogli una
possibilità, affidiamogli la nazione.
Trentanove
anni e un simpatico accento dalle reminiscenze dantesche, una capacità
comunicativa tale che, se non fosse stato di sinistra, magari i Berlusconi gli
avrebbero pure offerto un contratto a Mediaset, una posizione non così netta da
essere scontata ma nemmeno così evanescente da lasciare perplessi. Questi gli
ingredienti della ricetta anticrisi. Tutta italiana, perché si sa, in cucina
almeno siamo sempre stati forti.
Febbraio
2014: un governo non eletto dal popolo, ma che ne ottiene il consenso
immediato. Cento giorni e si arriva alle europee, dove il Pd ottiene più del
40% di voti. Deludono un po’ le amministrative, ma la spiegazione è che nei comuni
spesso funziona la legge del cambiamento di fronte: tante giunte erano già di
sinistra e quindi si è passati alla destra. Sempre ammesso che queste parole
abbiano ancora un senso politico e non solo toponomastico. Solo un volta
pagina, quindi, non un volta gabbana.
Certo,
l’attuale premier è, per fortuna, Matteo Renzi e non Don Matteo. Qualche
peccatuccio ce l’ha pure lui. Persino nella coerenza. Non in pochi,
sottoscritta compresa, avevano mostrato le loro perplessità quando, dopo aver
annunciato alle primarie di dicembre 2013 che non si sarebbe candidato premier
ma sarebbe rimasto segretario di partito per continuare a rivestire la carica
di sindaco di Firenze, ce lo siamo visti invece sullo scranno di Palazzo Chigi.
Però gliela si può perdonare. Se non altro perché, anche in vista del semestre
europeo, l’Italia aveva bisogno di un’immagine nuova. E non certo il faccione,
simpatico per carità, di Beppe Grillo. Le
riforme, da quella della Pubblica Amministrazione all’Italicum e il Titolo V,
fino alla contestatissima riforma del Senato, sono i gettoni di garanzia per
una posizione contrattuale in Europa. Perché sarebbe troppo bello se la strada
fosse tutta rettilinea, se per arrivare all’obiettivo non ci fosse bisogno di
trovare la direzione giusta e imboccare deviazioni. Ma in Italia neppure le
autostrade hanno mai funzionato benissimo, quindi tocca arrangiarsi. Prendere
strade secondarie. Alternative, però, non scorciatoie. Allora si spiega anche
il patto del Nazareno e l’atteggiamento di apertura verso parti politiche
storicamente opposte. Pur essendo impossibile l’omogeneità, è necessario,
doveroso, remare tutti nello stesso senso, per arrivare nello stesso porto.
Quello della salvezza.
Un
tessuto, la politica italiana, che si sfrangia in maniera trasversale. Perché
il vintage sarà anche di moda, ma il patchwork è superato: non più singoli
partiti uniti o divisi in blocchi, come isole che si lanciano cannoni ciascuna
dalla propria fortezza. Fronde interne, accordi bilaterali, intese bipartisan.
Silvio Berlusconi entra nella sede storica del Pd (e Bersani s’imbarazza per
questo). Beppe Grillo non risparmia a Matteo Renzi una scenata di gelosia:
perché ai forzisti un colloquio di tre ore e a noi M5S una semplice letterina?
Insomma, tutti vogliono attaccare il proprio carro al cavallo vincente. Oppure
puntare su un altro animale da soma: Sinistra dem, Vannino Chiti e i
sostenitori del suo pacchetto di emendamenti, ma anche l’ala di Forza Italia
legata ad Augusto Minzolini, buona parte della Lega Nord e del Ncd non ci
stanno.
E
Grillo dov’è in tutto questo? Salta da una sponda all’altra, indeciso se
accodarsi alla schiera del vincitore o scontrarsi con essa, ma almeno essere
capofila. Purtroppo però nell’ultimo anno le stelle del suo movimento hanno smesso
di brillare. Perché la notte è bella e suggestiva, ma poi si ha voglia che
sorga il sole e venga davvero un nuovo giorno. A forza di gridare non si ha più
voce. A forza di distruggere non rimane più niente. E prima o poi bisogna anche
ascoltare e ricostruire.
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