Buy something. E' questo il motto, secondo gli economisti (e i pubblicitari), per uscire dalla crisi economica ed essere tutti ricchi e felici. Sarà vero?
Il Pil italiano ai prezzi di mercato, espresso in milioni di euro, dal 1995 al 2012 è costantemente aumentato, passando da 952.158 a 1.567.010. Certo, ci sono stati momenti di flessione, come tra il 2008 e il 2009 e tra il 2012 e il 2013, ma nel complesso la crescita è stata costante. Volutamente ho mostrato i dati al lordo dell'inflazione, appunto per mostrare come l'aumento dei prezzi, e quindi anche del prodotto interno, non sia effettivamente indice di un maggiore benessere della popolazione. Non corrisponda, in termini più concreti, a un aumento della ricchezza. Infatti anche la disoccupazione, nello stesso arco temporale, è cresciuta: dal 11,2 % del 1995 al 12,2 % del 2012. Questo nonostante la popolazione italiana stia invecchiando e nonostante aumenti il numero di laureati.
Pur senza volere entrare nel merito di questioni che caso mai competono agli economisti, un ragionamento sul binomio crescita-benessere è d'obbligo, specialmente dopo la crisi che ha paralizzato l'intero mondo occidentale, aumentando il tasso di povertà anche in Paesi considerati non a rischio fino a qualche anno fa.
E' possibile una crescita infinita in un mondo in cui le risorse sono finite? Come è stato già rilevato da parecchi studiosi dell'economia mondiale, i criteri attuali di misurazione della ricchezza non tengono in considerazione fattori che invece non possono essere trascurati. Come: la scarsità delle risorse, l'impatto ambientale delle attività produttive e altri valori non monetari, quali l'istruzione, la non discriminazione, l'uguaglianza tra i sessi, il diritto a una vita libera e dignitosa e quello delle future generazioni ad avere in eredità risorse adeguate e un ambiente non compromesso. Non a caso il tasso di suicidi - e quindi, si presume, di infelicità - nei paesi del Nord, generalmente considerati i più ricchi, è di gran lunga più elevato rispetto alle zone mediterranee e del Sud. E, ancora non a caso, gli sprechi, le "sviste", i costumi smodati dei nostri padri li stiamo pagando noi giovani. Ritrovandoci disoccupati dopo anni di studio e fatica. Non avendo nemmeno la minima speranza di una pensione. Crescendo nell'incertezza e specialmente nella sfiducia verso il mondo del lavoro.
Il termine decrescita felice non è farina del mio sacco. Così come non lo sono alcune delle riflessioni che sto esponendo. Lo stimolo mi è venuto ieri sera.
Un po' per caso, un po' per curiosità, ho accettato l'invito di un'amica all'aperitivo organizzato dal Movimento Decrescita Felice di Brescia. E così, mangiando e bevendo - tutto auto prodotto secondo principi di sostenibilità e non crudeltà - ho aperto gli occhi.
Una passeggiata all'aria aperta e mangiare una mela colta dall'albero del nostro giardino non fanno crescere il Pil. Una casa ben coibentata permette ogni anno un risparmio energetico del 60%, facendo addirittura diminuire il Pil. Meglio una casa mal costruita che lo faccia invece crescere?
Questi e altri interrogativi si pone il Mdf, che appoggia una "filosofia di vita con l'obiettivo di costruire un modello di società, che punti al benessere globale come somma di valore umani e ambientali condivisi, uscendo dall'imperialismo dell'economia per favorire un ritorno parziale all'auto produzione e allo scambio". Questo - a detta del movimento - "non significa un ritorno al passato, né una rinuncia: è anzi un progresso verso una società migliore, tecnologicamente più avanzata, ma che metta l'uomo e il rispetto per l'ambiente al centro di tutto".
E in effetti le società che producono di più non necessariamente sono quelle più avanzate. Pensiamo solo alla Cina, dove, nonostante il Pil sia cresciuto fino allo scorso anno in maniera impressionante, permangono ampie falle nella democrazia e dove si stanno gettando le basi per vere e proprie catastrofi ambientali. Uno dei Paesi che invece ha sviluppato nel corso degli ultimi anni un'attenzione particolare verso il risparmio energetico e lo sviluppo sostenibile è la Germania, dove i modelli ecologici non solo solo una realtà ma quasi sempre la prassi. Certo, i problemi ci sono anche lì. Lo sanno bene tutti i coltivatori e allevatori che agli inizi del nuovo millennio erano stati, nel loro piccolo, pionieri del mercato biologico, ponendo all'attenzione di media e istituzioni l'urgenza di un cambio di modalità nella gestione sia del settore primario sia del secondario. Quegli stessi piccoli produttori oggi si vedono costretti a fare marcia indietro, a tornare all'agricoltura e all'allevamento tradizionale. Perché? Perché anche il bio può essere ammazzato, quando da esso si tenta di fare un grande business.
E' così che scaltri imprenditori hanno creato il paradosso degli allevamenti intensivi biologici. Senza rispettare, per esempio, la quantità massima di galline per metro quadro di pollaio che costituiscono il limite del bio. In questo modo hanno potuto abbassare notevolmente i prezzi, il che, in una società sempre più attenta alla salute, è stato mannaia. Ma non solo. Le arance butterate, i cetrioli un po' storti, le mele piccole o le pere figlie di un Dio minore, le avete più viste? No, nemmeno nel più chic dei mercati biologici. Che adesso sono diventati supermercati. Il problema è uno: le terre sono poche e coltivare o allevare secondo i principi del biologico abbasserebbe la quantità di prodotto, ridurrebbe il Pil.
Ecco allora il paradosso: la nuova frontiera del biogas. Un fenomeno che sta prendendo piede anche in Italia. Già un anno fa erano ben 347 gli impianti a biogas nella sola Lombardia. E anche quest'anno sono stati tanti gli agricoltori che hanno preferito convertire le loro terre alla produzione di biomasse. In pratica: non si coltiva più per ottenere frutta, verdura e cereali, ma per dare il raccolto agli impianti industriali, i quali lo trasformano in energia. Un bel risparmio, direte voi. A basso impatto ambientale. Peccato che poi tocchi importare quegli stessi prodotti che abbiamo bruciato per generare gas. Perché oltre agli impianti vanno nutriti anche uomini e animali, no? Il fraintendimento sta appunto in quelle tre lettere: bio. Vita, certo. Ma che vita? Quella degli animali (tra cui l'uomo) e dell'ambiente o quella da cui derivano gas in fondo non così salutari? Perché, tra incentivi da parte di tutti gli enti possibili - dall'Europa, allo Stato, alle Regioni - qualcosa è sfuggito di mano. Sembra infatti ignorato il fatto che, pur producendo energia pulita, anche queste centrali sono fonte di emissioni inquinanti.
E, visto che il Natale si avvicina, qualche consiglio eco-sostenibile:
E in effetti le società che producono di più non necessariamente sono quelle più avanzate. Pensiamo solo alla Cina, dove, nonostante il Pil sia cresciuto fino allo scorso anno in maniera impressionante, permangono ampie falle nella democrazia e dove si stanno gettando le basi per vere e proprie catastrofi ambientali. Uno dei Paesi che invece ha sviluppato nel corso degli ultimi anni un'attenzione particolare verso il risparmio energetico e lo sviluppo sostenibile è la Germania, dove i modelli ecologici non solo solo una realtà ma quasi sempre la prassi. Certo, i problemi ci sono anche lì. Lo sanno bene tutti i coltivatori e allevatori che agli inizi del nuovo millennio erano stati, nel loro piccolo, pionieri del mercato biologico, ponendo all'attenzione di media e istituzioni l'urgenza di un cambio di modalità nella gestione sia del settore primario sia del secondario. Quegli stessi piccoli produttori oggi si vedono costretti a fare marcia indietro, a tornare all'agricoltura e all'allevamento tradizionale. Perché? Perché anche il bio può essere ammazzato, quando da esso si tenta di fare un grande business.
E' così che scaltri imprenditori hanno creato il paradosso degli allevamenti intensivi biologici. Senza rispettare, per esempio, la quantità massima di galline per metro quadro di pollaio che costituiscono il limite del bio. In questo modo hanno potuto abbassare notevolmente i prezzi, il che, in una società sempre più attenta alla salute, è stato mannaia. Ma non solo. Le arance butterate, i cetrioli un po' storti, le mele piccole o le pere figlie di un Dio minore, le avete più viste? No, nemmeno nel più chic dei mercati biologici. Che adesso sono diventati supermercati. Il problema è uno: le terre sono poche e coltivare o allevare secondo i principi del biologico abbasserebbe la quantità di prodotto, ridurrebbe il Pil.
Ecco allora il paradosso: la nuova frontiera del biogas. Un fenomeno che sta prendendo piede anche in Italia. Già un anno fa erano ben 347 gli impianti a biogas nella sola Lombardia. E anche quest'anno sono stati tanti gli agricoltori che hanno preferito convertire le loro terre alla produzione di biomasse. In pratica: non si coltiva più per ottenere frutta, verdura e cereali, ma per dare il raccolto agli impianti industriali, i quali lo trasformano in energia. Un bel risparmio, direte voi. A basso impatto ambientale. Peccato che poi tocchi importare quegli stessi prodotti che abbiamo bruciato per generare gas. Perché oltre agli impianti vanno nutriti anche uomini e animali, no? Il fraintendimento sta appunto in quelle tre lettere: bio. Vita, certo. Ma che vita? Quella degli animali (tra cui l'uomo) e dell'ambiente o quella da cui derivano gas in fondo non così salutari? Perché, tra incentivi da parte di tutti gli enti possibili - dall'Europa, allo Stato, alle Regioni - qualcosa è sfuggito di mano. Sembra infatti ignorato il fatto che, pur producendo energia pulita, anche queste centrali sono fonte di emissioni inquinanti.
E, visto che il Natale si avvicina, qualche consiglio eco-sostenibile:
- Preferire i pranzi e le cene a casa rispetto alle uscite al ristorante, facendo attenzione a non cucinare troppo per poi rischiare di buttare via. Un'alternativa potrebbe essere distribuire tra i commensali, prima che se ne vadano, parte delle pietanze avanzate. O ancora, portarle nei dormitori pubblici o in parrocchia.
- Evitare di fare regali, anche piccoli o insignificanti, se non lo sentiamo davvero. La paura del giudizio può essere vinta dalla consapevolezza di compiere un'azione socialmente utile, limitando i consumi superflui. Tanto, se non è sentito, con tutta probabilità quel regalo non sarà nemmeno gradito. E finirà nell'immondizia.
- Acquistate un albero di Natale finto o fatelo addobbando una pianta in giardino. O ancora, trovate soluzioni originali in casa.
- Se proprio dovete regalare qualcosa, evitate i cesti con bottiglia e panettone: pensate a quanti ne riceveranno già gli amici a cui li volete indirizzare. E al fatto che con un cesto pagate almeno cinque volte di più un prodotto rispetto che al supermercato o in una bottega.
- Sempre in materia di regali, lasciate stare quei prodotti che sono palesemente mode temporanee e, se proprio, valutatene l'utilità: un paio di scarponcini può sempre servire, un abito con le paillettes no.
- Anche se può sembrare il contrario, la lavastoviglie oltre che comoda è anche eco-friendly. Mettendo i piatti nella macchina magica risparmiate un bel po' di acqua. E, visti i tanti commensali che siederanno alle vostre tavole nelle prossime settimane, suppongo che la cosa possa farvi piacere.
- Infine, è tanto bello stare al caldo. Ma costa e non fa bene alla salute. Meglio un bicchiere di vino in compagnia, una coperta calda e...non fatemi dire il resto, dai.
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