Un romanzo giallo che ha per protagonista uno scrittore golfista sinceramente non l'avrei mai
comprato né letto. Non l'avrei fatto perché sono come la maggior parte dei lettori: erroneamente convinta che esistano un genere, una tipologia di personaggi e una serie di contesti in grado di piacermi. Tutto il resto non è escluso, ma guardato con una convinta quanto inconfessabile diffidenza.
Insomma, se quella sera di dicembre non avessi incontrato in un bar Roberto Van Heugten, aurore di La casa sul meteorite, se non l'avessi reputato simpatico (o antipatico) e quindi interessante, non starei scrivendo questa recensione. Il fatto poi che la trama si svolga nella città in cui vivo - o quasi, visto che il giallo è ambientato sulla riviera gardesana - ha senza dubbio giocato a favore. Perché sapete, Brescia non è Roma, Milano, Parigi o New York, che di romanzi ivi ambientati ne hanno mille e più. La mia è una provincia né piccola né grande, né rustico borgo antico né metropoli dichiarata. Ne conviene che resti spesso nell'ombra, che in terre mie si faccia quel tanto di cui si parla poco. E allora viene naturale il senso di gratificazione nel trovare anche solo citato all'interno di un libro il paesello in cui so che abita una mia amica e in cui fanno lo spiedo buono (Serle). O il comune che per anni insieme a mia sorella ho sfottuto per il suo nome strano (Polpenazze). E quelle colline vestite di vigneti averle ben impresse. Conoscere il sapore del Chiaretto che lo scrittore offre al suo cliente e al prete incauto in uno dei primi capitoli. Immaginare che quel formaggio consumato a merenda sia la Rosa Camuna e quel salame il nostrano che si produce nelle campagne qui attorno.
Essermi fatta un'idea di Roberto Van Heugten prima di leggere il suo libro probabilmente mi ha influenzata, ma è stato un buon pre- il suffisso che ho anteposto al mio giudizio. Lo è stato perché ha accresciuto la piacevolezza della lettura, laddove mi sono divertita a rintracciare i confini tra autore, narratore e protagonista. Barriere estremamente labili, invero. E non solo perché uno scrittore costruisce una storia ponendovi un (altro?) scrittore come protagonista, ma anche da particolari che la mia mente aveva probabilmente captato le tre volte in cui ho visto Roberto e messo a fuoco solo
quando mi sono immersa nelle righe del suo romanzo. Anche Facebook mi ha dato una mano. Lì ho scoperto che gioca a golf e che ama il cibo. Una foto lo ritrae con un sigaro infilzato tra le labbra, mentre provoca l'obiettivo immerso in una nuvola di fumo. E mi sono detta: ma come? Tutto quel lamentarsi del protagonista per i toscanelli del povero Enzo (lo scialbo uomo desideroso di far mettere per iscritto la sua biografia)?
Ebbene sì, degli scrittori bisogna proprio diffidare, perché tutto ciò che è vita diventa romanzo e forse anche viceversa. D'altronde il miglior modo per costruire storie è distribuire la propria esperienza su un ventaglio di personaggi: magari dare a uno un vizio e all'altro una virtù che ci appartengono. Prendere spunto dal neo sul naso di un professore per trasferirlo su quello di una giocatrice di poker incallita. Riempire le stanze di un cottage inglese del profumo di torta alle mele annusato tante volte in casa di nostra nonna. E chi mi dice che anche io - incosciente e sprovveduta - non sia stata concime di qualche scrittrice o scrittore che mi spiava senza che me ne accorgessi?
La casa sul meteorite non è Il Codice Da Vinci o il Circolo Dante, non ci sono mille nomi da tenere a mente né dietrologie da smascherare. Un po' di attenzione però è necessaria, come per ogni giallo che si rispetti. E, sempre perché di giallo stiamo parlando, nonostante l'analisi induttiva, si corre il serio rischio di restare sorpresi dal finale.