mercoledì 1 aprile 2015

Intercettazioni, tutto regolare

Qualcuno inizierà a parlare in codice mentre è al telefono. Anzi, c'è chi lo fa già. Lo spauracchio delle
intercettazioni affanna Italia e italiani in questa corsa a piedi nudi verso lo svecchiamento anti-corruzione e anti-burocrazia.
I politici paiono più immolati dei capretti e degli agnelli che troveremo in tavola tra qualche giorno. Due casi recenti, quello dell'ex ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi e quello dell'ex premier Massimo D'Alema, ornano l'altare del sacrificio. Come è possibile - si chiedono costoro - che i giornali pubblichino stralci di intercettazioni in cui compaiono i nostri nomi senza che nessuno abbia avviato un'indagine a nostro carico? Un affronto alla reputazione, un insulto alla dignità umana?

Sono pochi quelli che, nel sentire tali urla di dolore, riescono a rimanere indifferenti. La strategia è pressapoco la stessa usata da Silvio Berlusconi quando dirottava le sue inadempienze civiche e le sue (ir)responsabilità pubbliche sul piano personale. Rivendicare il diritto alla privacy come ogni cittadino, mantenendo però l'impunità e l'insindacabilità delle più alte figure istituzionali. Qualcosa non quadra. Non solo perché esiste un limite alle libertà del singolo ed è sancito dal bene collettivo, di cui l'informazione è la pietra angolare. Qualcosa non quadra anche perché le acclamazioni scandalizzate vanno contro norme legislative che gli stessi gruppi politici e parlamentari a cui questi signori sono legati hanno approvato e sottoscritto.

Era luglio 2010 quando la Commissione Giustizia alla Camera approvò un emendamento dell'Udc (che, giusto per chiarire, insieme a Ncd - a cui appartiene Lupi -, costituisce la coalizione di Alleanza popolare) che sopprimeva la norma, inserita nel ddl intercettazioni al Senato, con la quale si estendeva la necessità di chiedere l'autorizzazione alla Camera di appartenenza prima di usare e pubblicare i testi delle intercettazioni effettuate nell'ambito di indagini verso terzi, ma in cui comparivano anche i parlamentari. Emendamento votato anche dal Pd (di cui è membro D'Alema).

In altre parole, se prima non potevano essere utilizzate in toto, senza autorizzazione del Parlamento, le registrazioni in cui comparivano deputati e senatori, adesso l'obbligo di richiesta alla Camera o al Senato vale solo se l'intercettazione viene usata per indagare direttamente contro un parlamentare, mentre rimane libera e pubblicabile (entro i limiti previsti dalle regole dell'ordinamento giudiziario) se a essere indagato è un terzo. 

Il perché è abbastanza evidente. Prima dell'abrogazione di quella norma, i parlamentari diventavano scudi di protezione a vantaggio di soggetti e attività criminose, le cui comunicazioni non potevano essere utilizzate solo perché magari compariva il nome di un membro del Parlamento e la relativa camera di appartenenza votava il segreto. 

La possibilità di usare le intercettazioni in ambito giornalistico, pubblicando sui quotidiani gli atti delle indagini, non solo consente di fare luce su soggetti che, anche se non in politica, hanno un ruolo sociale importante e coinvolgono tanti cittadini, ma mettono anche i politici in una condizione di pubblicità costruttiva, dove, sentendosi vincolati al ruolo di cui si fanno portatori, più difficilmente agiranno contro il bene comune.


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