martedì 25 agosto 2015

La musica condiziona le nostre scelte

Un paio di orecchini e un orologio d'oro oppure uno spazzolino da denti e una crema per le mani? Pollo al curry indiano o hamburger con patatine fritte? La scelta potrebbe essere influenzata dalla musica che state ascoltando. Lo stanno dimostrando i tre ricercatori australiani Adrian C. North, Lorraine P. Sheridan e Charles S. Areni, i primi due della Curtin University (psicologia e patologie linguistiche) di Perth, il terzo della scuola di management di North Ryde.


Lo studio, volto a stabilire l'influenza della musica di sottofondo sulla memoria, la percezione e la scelta dei prodotti, ha interessato dieci volontari in tre esperimenti. Il primo prevedeva che i membri del campione venissero fatti accomodare in stanze diverse, in ciascuna delle quali risuonava una canzone proveniente da Stati Uniti, Cina o India. A ogni partecipante è poi stato dato per cinque minuti un menu contenente trenta diverse opzioni di cucina internazionale e gli è stato chiesto di ripetere quanti più piatti riusciva a ricordare, scegliendo quello che avrebbe mangiato in quel momento. I volontari ricordavano meglio e sceglievano portate riconducibili per Paese di provenienza alla musica che avevano ascoltato prima di leggere il menu. Quelli che avevano ascoltato musica americana, per esempio, sceglievano hamburger o hot dog, mentre quelli che avevano ascoltato sinfonie indiane o cinesi si focalizzavano su piatti etnici orientali.

In un secondo esperimento i ricercatori si sono concentrati su due tipologie di musica americana: classica e country. L'obiettivo, stavolta, era valutare il condizionamento sulle abitudini di consumo. I volontari che avevano ascoltato la musica classica si dimostravano più propensi a comprare oggetti che ricalcassero una certa identità o status sociale: gioielli, orologi, profumi e vini costosi. Coloro che avevano avuto il sottofondo di musica country, invece, erano più indirizzati verso scelte di consumo pratico, come spazzolini da denti, biro e lampadine. 


Il terzo esperimento prevedeva infine che i volontari ascoltassero ancora musica classica e che subito dopo venisse chiesto loro quanto avrebbero pagato per oggetti rappresentativi dell'identità sociale. Ad alcuni di loro, però, veniva lasciato pochissimo tempo per riflettere. Ed erano proprio questi ultimi a quelli disposti a spendere di più, secondo un meccanismo che gli scienziati hanno poi denominato pressione cognitiva.

Forse la Quinta Sinfonia di Beethoven non è la ragione di tutti i nostri acquisti d'impulso, ma potrebbe rendere una costosa bottiglia di vino o una maglietta firmata più necessarie ai nostri occhi.

*La ricerca è stata anticipata con un abstract il 31 luglio 2015 dalla rivista scientifica Science ed è in corso di pubblicazione sul Journal of Retailing.

giovedì 13 agosto 2015

Must e tormenti estate 2015

Sempre per rimanere sulle chiacchiere spicce, vi propongo il repertorio che ho scoperto quest'estate, negli scaffali dei negozi e addosso alla gente. Ecco quindi una lista di prodotti che hanno letteralmente tormentato la mia (e presumibilmente anche la vostra) estate.

- I sandali black or white con la zeppa. Sono decisamente inguardabili, tanto che la prima volta che mi sono capitati a tiro credevo fosse uno scherzo, tipo sagra del trash. Invece no, impazzano davvero. Per chi è un po' dark inside sono forse accettabili, a patto che siano portati con gonna lunga e stretta, cinturone, trucco noir e unghie smaltate di toni accesi.

- I Babasucco. Una trovata scintillante. Quanto banale. Eppure hanno invaso il web: sarà per i loro colori vivaci, sarà perché detox e integratori alimentari non possono che cavalcare le onde delle nostre spiagge, sempre più piene di donne e di uomini per cui fino a giugno l'unico sport era spostarsi da una pasticceria a un happy hour (o dal tavolo della cucina e al divano) e ora, magicamente, accolgono il miracolo di Baba. Che poi, diciamolo, tutto ciò che è bio, clean e in vetro negli ultimi anni sembra conferire fascino anche al peggiore dei buzzurri.



- Le gonne drappo. Sì, sembrano proprio uscite dalla soffitta delle sarte. Di tende, però. Sono di tessuto piuttosto pesante, con fantasie barocche. Le potete trovare a pieghe e a tubino. A me mettono caldo solo a guardarle. De gustibus poi, non disputandum est.

- I girocollo neri intrecciati. Forse starebbero bene abbinati ai sandali b&w. Melancholic trash, lo potremmo chiamare. Perché questi affari, ve lo ricordo, andavano di moda quando io ero in quinta elementare: qualcuno deve aver tentato una reminiscenza anni Novanta, sperando che facesse lo stesso effetto della disco dance.

- Le gonne a pantalone. Questo capo, non posso trattenermi, ha decisamente oltrepassato il limite della (mia) sopportazione. La gonna a pantalone, o mini-pant, è stata ripetuta in tutte le salse, anche quelle più incommestibili, quest'estate. E la faccenda sgradevole arriva quando, presa dall'entusiasmo, mi catapulto sull'appendiabiti del negozio di turno, convinta che si tratti di graziose minigonne svolazzanti e trovo l'amara sorpresa in mezzo alle gambe.

- La granita al mojito. E io che pensavo che il mojito, essendo un pestato, fosse già una sorta di granita. Invece quest'estate pare che le gelaterie per essere in la debbano avere a tutti i costi. Il che è abbastanza insensato, perché se uno ha voglia di mojito va in un bar, no?



- I costumi a fascia. Altresì detti: ammazza-décolleté. Se avete il seno piccolo, la fascia vi farà tornare ai tempi dei castelli sulla sabbia con secchiello e paletta, più o meno ferme ai dieci anni. Se avete una buona taglia, la fascia non reggerà l'importante dotazione che madre natura (o il chirurgo estetico) vi ha dato. Il vantaggio è che non ci sono spallini da togliere per prendere il sole integralmente sulle spalle e, per fortuna, alcuni modelli sono forniti di coppe e ferretti e danno quindi un sostegno maggiore.

Altro da dichiarare?


martedì 11 agosto 2015

Cinque specie (purtroppo) non estinguibili


Sarà il caldo, sarà lo spirito vacanziero, sarà che questo agosto reclama a gran voce un po' di frivolezza. E allora eccovi accontentati, e accontentate soprattutto. Chiacchiere da ombrellone (non importa se quello da spiaggia o del giardino di casa) per discutere delle cinque peggiori specie di uomo

1. L'egocentrico: per lui il mondo è fatto di due sole lettere, la I e la O. Mentre parlate non vi ascolta, sta già pensando alla prossima cosa da dire su di sé. Al tavolo di un bar, come a letto e sul cellulare, non esistono domande per chiedervi come state o che cosa avete fatto oggi, ma semmai appassionate apologie sul suo lavoro, sulla sua auto, sui suoi hobby e su quante volte ha respirato nell'ultima mezz'ora. Decisamente da evitare, se non volete accartocciare la vostra autostima e cercare di fare centro nel canestro del suo ego.


2. L'imbruttito: solitamente bestemmia, ha l'alito che puzza perché l'ultimo spazzolino da denti l'ha visto a cinque anni e infarcisce le frasi di volgarità sentendosi estremamente virile. Confonde il pragmatismo con la cecità: per lui esiste solo il qui e ora, non si prende la briga di elaborare alcuna considerazione sul futuro e, se accennate un discorso poco più elevato rispetto all'ultima partita di calcio o alla vostra taglia di reggiseno, potete chiaramente vedere la dilatazione dei suoi bulbi oculari e la comparsa di solchi rugosi sulla sua fronte. Consigliato a chi ha ambizioni da geisha o casalinga disperata.

3. Lo psicoterapeuta: ha scoperto troppo tardi la sua vera vocazione professionale e ora vuole rimediare sfogandosi con voi. Analizza al microscopio ogni vostro gesto e ogni vostra parola per trovare ovviamente qualcosa che non va. Non confondetelo con una persona sensibile: chi lo è non si permette di giudicare, ma ascolta, entra in empatia. Lui invece dopo il primo appuntamento ha già pronto un trattato sulla vostra personalità. Rischio emicrania molto elevato.

4. L'insicuro: traumi del passato, mancata consapevolezza di sé, scarsa fiducia nel prossimo... non importa il motivo, con lui dovete prepararvi a espiarlo. Si comporta in maniera imprevedibile, cerca di tenere le distanze e non parla mai di sé (guai a fornire informazioni a un'eventuale nemico). In definitiva vive i rapporti umani come giochi di potere e si sente minacciato, magari non da voi ma dalla vita in generale. Stategli alla larga, se non volete riempirvi la testa di paranoie, con il rischio di diventare più insicure di lui.

5. Il don Juan: sì, non poteva mancare lui, il latin lover della situazione, quello che sullo smartphone ha una lista sterminata di contatti femminili da alternare di giorno in giorno, di settimana in settimana. E' inutile che vi illudiate di poterlo cambiare: voi non siete certo diverse da Veronica, Federica, Camilla, Giulia, Jennifer, Mary ecc ecc. Una delle civette che infoltiscono il repertorio sul suo comò (o meglio, letto).

Naturalmente esistono tipi misti o peggio ancora doppi e tripli, altrimenti sarebbe troppo facile selezionare e scartare le specie dannose nella giungla maschile. Forse alcune di queste caratteristiche le troverete anche nel vostro uomo: non importa, basta che stiate davvero bene con lui. Solo, ricordatevi che o è un principe o è azzurro, non potrà mai essere entrambi, né tanto meno arrivare in groppa a un cavallo bianco.


sabato 1 agosto 2015

Depressione, amore e rispetto

E' la prima volta che mi occupo di depressione in questo spazio. E lo faccio levando ogni pretesa medico-diagnostica. Semplicemente, noto attorno a me l'incedere incalzante di questa patologia e mi sembra quindi giunto il momento di fare chiarezza.

Chi non si è mai definito depresso? Perché magari era lunedì. O perché non aveva passato un esame. O ancora per la reclusione in casa a studiare.

Ecco, facciamo un passo indietro. La depressione, quella di cui sto per raccontare, è un'altra cosa. Non avendola mai provata di persona riesco solo a iconificare con le parole stati d'animo e pensieri di chi ne è realmente affetto e ha condiviso parte del suo mal de vivre.

Perché, riferimenti baudeleriani a parte, è proprio un male che colpisce la vita, nella sua essenza più profonda e nelle sue manifestazioni più spicce. Alzarsi al mattino diventa impossibile, tanto che il pigiama rimane incrostato addosso come una muta arrugginita. E la sera insieme al sole tramonta ogni speranza, è l'angoscia a farsi luna piena di un cielo senza stelle.


Più che analizzare i sintomi di quella che è classificata come vera e propria malattia e che per giunta può avere mille diversi risvolti da persona a persona, preferisco concentrarmi su due parole che stanno alla base del problema: l'amore e il rispetto, verso se stessi in primis, ma anche verso gli altri.

Non ho un verbo mio in grado di trasmettervi la dolorosa sottigliezza della questione. Ho però una lettera, scritta da una ragazza in preda a questo demone reale. Sono pezzi di vita e pezzi di cuore che continuano a farmi piangere, ogni volta che li leggo. Senza l'intenzione di rattristarvi, ve ne riporto alcuni stralci, nella speranza che abbiate anche voi spunti "altri" per riflettere. Sull'amore. E sul rispetto.

Partendo dal presupposto che una persona depressa è spesso sola, perché la maggior parte delle sue cerchie si sono allontanate per paura, esasperazione, impotenza:
Qual è il confine tra l'autotutela e l'indifferenza, il menefreghismo, l'egoismo e la codardia? Quanto è scomoda una persona che soffre e quanto è difficile ascoltarne i motivi, comprenderli e aiutare? [...] Quanto presto si dimenticano le gioie e l'amore ricevuto, o l'amicizia e la lealtà quando le situazioni si fanno complicate?
Viola (nome di fantasia) era una ragazza apparentemente fortunatissima. Aveva tutto. Tanti amici, un fidanzato che si diceva innamorato, una laurea a pieni voti e un lavoro nell'ambito da lei desiderato. Ma qualcosa girava sempre più lentamente nella sua testa. Quel qualcosa che la faceva incartare nei meccanismi più banali, generandole sensi di colpa e angosce per le questioni più futili. Sofferenze trascurate e portate avanti nella speranza che passassero da sole: l'importante era non far vedere nulla agli altri. Perché l'aveva intuito, Viola, che gli altri non avrebbero capito e l'avrebbero lasciata sola. Almeno la maggior parte di loro.
Alla fine il vaso che Viola portava in bilico tra le braccia si è fatto troppo pesante. E si è rotto, conclamando la sua depressione.
Quando è successo, come temevo, per alcune persone, anche quelle che consideravo tra le più importanti della mia vita, sono diventata una malata scomoda. Una pazza. Una paranoica.
Ed è così che Viola ha iniziato a riflettere sul senso dell'amore e del rispetto.
L'amore è quello di mia madre, che, dopo una giornata estenuante, viene da me in ospedale e non si stravacca sulla poltrona rossa, in teoria la più comoda, ma prende la seggiolina di plastica e si avvicina al mio letto, passando la notte accanto a me. Sta lì a pochi metri da quella persona - io - che si sente una merda per quello che non è riuscita a non fare, per aver ceduto alla tentazione di volerla fare finita una volta per tutte. Mi abbraccia e mi dice che va tutto bene, che non è arrabbiata con me e non è nemmeno triste (mente, ma sa che se me lo dicesse mi sentirei ancora più in colpa). Dice che è solo contenta di essere lì con me. E io so che quello avrebbe potuto essere il giorno del mio funerale. Riesce a dirmi che non sono cattiva e che andrà tutto bene, anche se un paio di giorni prima mi sono ingoiata due confezioni di triciclici (potenti psicofarmaci, ndr). Amore è il suo occhio sempre aperto al primo beep di troppo del mio cuore del cazzo che non smette di battere all'impazzata.
L'amore è quello di mio nonno, che sotto il sole cocente di luglio, alle 13 viene a trovarmi in bicicletta. Ha 84 anni e non guida più. Viene tutti i giorni e si mette a piangere se piango o si commuove con me davanti a un video. Mi dice che sono "bellissima e toga". Anche se ho fatto la cazzata. Anche se ho le occhiaie, non lavo i capelli da giorni, ho tutti i segni dei cerotti e delle ventose e sembro un pulcino spennato.
L'amore è quello del mio terapeuta verso suo padre. Me l'ha raccontato, sai? Che l'ha perso a 20 anni, che era un appassionato di campagna e natura e che ora lui ha investito la maggior parte di quello che ha per costruire una villa come sarebbe piaciuta al suo papà. E ora le cose che facevano insieme le fa da solo, ma con lui dentro.
L'more è quello di mia sorella, che ha conservato la lucidità giusto il tempo per chiamare il 118 e poi per un giorno non ha voluto vedermi, arrabbiata e spaventata. Ma alla fine è venuta. A spiegarsi e a scusarsi. Ed è rimasta. Amore sono le sue mani che mi accarezzano  il viso e mi asciugano le lacrime. Sono i suoi abbracci e il suo voler stare con me.
L'amore è quello del fidanzato di una ragazza che c'è qua con me ricoverata (Viola si trova in una clinica riabilitativa, ndr), che, tornato stanco dal lavoro in fonderia , senza saper minimamente cucinare, si sforza di prepararle tutto quello che i medici le hanno raccomandato di mangiare. Che chiama sempre in clinica per sapere come sta e appena la vede gli si illuminano gli occhi. Lui le aveva detto che non l'avrebbe abbandonata e non l'ha fatto.
L'amore, probabilmente, è quello che per tutta la vita non sono riuscita ad avere verso me stessa, quello che magari non mi avrebbe fatta sentire sempre l'ultima ruota del carro, la bambina goffa che deve sforzarsi per restare a galla ed essere accettata. Mi sono sempre sentita una persona immeritevole e la conseguenza logica è che per avere un po' di amore, per sentirlo vivo e pulsante, dovevo sforzarmi al massimo, fare piaceri, regali, chiedere sempre scusa anche quando mi facevano un torto. In pratica, non essere me stessa.
Va da sé che il concetto di amore includa quello del rispetto. Viola ne parla in calce alla lettera, dicendo:
Mi sono chiesta spesso se il mio modo di fare, il mio essere sempre gentile e leale, nel senso di non fare sgambetti, di non fare la stronza per ottenere quello che volevo, di evitare agli altri qualunque cosa che non volevo fosse fatta a me, sia parte della mia dignità o mi abbia portata a calpestarla. Ho sempre pensato che preferisco star male mille volte perché sono stata buona e disponibile e così l'ho presa in quel posto, piuttosto che star male anche una sola volta perché sono stata stronza e ho danneggiato qualcuno.


Una risposta a tutte queste domande che affollano la mente di Viola io non ce l'ho. E non ce l'avete nemmeno voi, immagino. Perché l'amore, il rispetto e mettiamoci anche la dignità viaggiano sui binari incrociati dell'autostima e della biologia. Ciò che auguro a Viola e a tutti coloro che soffrono di depressione è di non perdere la speranza. La stanza buia in cui si trovano non si accenderà con un click dell'interruttore artificiale. Né verrà qualcuno con una candela. Saranno loro ad aprire la finestra e far entrare i raggi di sole.