I ragazzi di oggi vivono nella bambagia. Sono bambinoni ancora attaccati alla gonnella della mamma. O figli di papà abituati ad avere tutto nella vita. I giovani ora non si guadagnano niente.
Frasi originali e illuminanti quanto le critiche a San Remo da parte di chi non paga il canone o guarda la D'Urso. O come quelli che comprano bio ma poi si sfondano al Mac Donald's. O chi gira ancora con il Nokia 3310 e poi spende un capitale nei mercatini d'antiquariato. Che, per carità, amo il vintage, ma compratelo uno smartphone, così magari non vi tocca stressare la gente per strada chiedendo informazioni.
Vabbè, per intenderci: queste espressioni scontate non le sopporto. Innanzitutto perché nella maggior parte dei casi escono dalle bocche di chi un lavoro ce l'ha e magari per ottenerlo ha sudato meno degli universitari disgraziati che riempiono oggi gli atenei italiani. Alla fine è così: trent'anni fa bastavano un diploma superiore e un concorso pubblico per diventare impiegati statali. E una licenza media, ma neanche, per aprire un'attività commerciale con investimenti di sicuro inferiori rispetto a oggi e probabilità di successo molto più elevate. Adesso le chiamano start-up, le imprese o i progetti (ecco, nella maggior parte dei casi restano tali) di giovani promesse del business. Idee spesso lodevoli, capitale culturale alto, competenze tecnologiche che se le scordano i manager con gli ipad...Eppure, nella maggior parte dei casi rimangono promesse sulla carta o vanno a riempire i cimiteri delle attività fallite.
Negli anni 90 una laurea almeno era qualcosa. Non dico desse certezze, ma un barlume di speranza. Poi, con il terzo millennio, è diventato un requisito indispensabile, fino mai scontato. E proprio da questo passaggio ne è derivata la quasi inutilità. Ecco, non iniziate a gridare all'eresia: non sto dicendo che la laurea non serve. Ma non basta. Credo che in questa miscellanea di impossibilità sia fondamentale avere le idee chiare. Fin dai tempi della scuola. E non dite che un ragazzino non sa ancora quello che vuole. Io la penso diversamente. Chi non sa quello che vuole è perché non ci ha mai pensato e dovrebbe prendersi la responsabilità di farlo. Oppure ha paura di fare una scelta. Per intenderci: non hai voglia di studiare? Benissimo. Non farlo. Ci sono mille modi per lavorare anche senza un titolo di studio elevato. Dalle professioni manuali alle attività commerciali, Non per forza per diventare imprenditori bisogna essere anche dottori. Semmai servono gli attributi per rischiare e l'ingegno per proporre cose nuove. Se una persona ha queste doti, la strada per arricchirsi culturalmente e finanziariamente sarà breve.
Poi c'è chi invece, come me, ha sempre amato studiare e imparare. Chi è più portato per le riflessioni e per l'analisi, chi non ha alcun senso pratico, per dirla breve. Chi vuole studiare. E quindi l'università, sempre ammesso che se la possa permettere, è la via obbligata. Però, appunto, da sola non basta. Puoi avere tutti i 30 e lode scrivibili sul libretto, ma se non hai spirito di iniziativa, determinazione e capacità di metterti in gioco, sarai allo stesso punto di quando hai varcato il portone del liceo per l'ultima volta.
Nessuno regala niente. E questo ora come un tempo. Con la differenza che adesso chi appena può sgomita e si fa strada, chi resta a guardare è fottuto. Quindi spazio alle nuove idee, all'ansia di conoscere sempre di più, di proporre qualcosa di diverso, di varcare nuove soglie. E' faticoso, molto più che stare davanti a un libro. Ma indispensabile. Almeno a mio avviso.
Voi che ne pensate?
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