Dipende tutto dal punto di vista. Basta un antefatto, un retroscena, per cambiare il senso della storia. E allora quello che è sempre stato l'eroe diventa un po' meno buono, un po' meno coraggioso. E anche lo storico antagonista può mutare sembianze. Pur restando, entrambi, il buono e il cattivo.
Non in tanti conoscono La bella addormentata nel bosco. Si tratta di una fiaba tradizionale europea, nota soprattutto nella versione che Charles Perrault ne fece ne I racconti di mamma oca (1697) e ovviamente nel classico film animato Disney del 1959. E' la mia fiaba preferita.
Il re Stefano governa felice nel suo bel castello e un giorno lui e la moglie hanno una bimba. La principessa Aurora. Organizzano un banchetto per il battesimo della piccola, ma non invitano la fata Malefica. La quale, giustamente, si risente. Tanto da scagliare un maleficio contro la bambina: <<Prima che il sole tramonti sul suo 16° compleanno, ella si pungerà il dito con il filo d'un arcolaio e morrà>>.
Poi arriva una delle tre fatine buone, Serena, tutta vestita di azzurro, la quale non ha ancora dato il suo dono ad Aurora e quindi rimedia al maleficio, dicendo che il sonno potrà essere destato dal bacio del vero amore. Serena, Flora e Fauna, le tre fatine buone, per sedici anni accudiscono Aurora nella casetta di un taglialegna. Lo fanno senza magia, come fossero contadinelle.
Poi, allo scoccare del sedicesimo compleanno (e qui uno si chiede: ma aspettare qualche settimana in più no?), la riportano al castello del padre. Dove lei ovviamente si punge il dito con l'arcolaio (anche lì: chissà come mai se li avevano bruciati tutti ne deve rimanere proprio uno e, pensate la sfortuna, la furbissima ragazza ci appoggia sopra il ditino...), cadendo addormentata. Quindi arriva Filippo, figlio del re Uberto, dunque principe pure lui, che, in sella al suo cavallo bianco, slinguazza la principessa, di cui è già innamoratissimo, pur avendola vista una sola volta. E vissero tutti felici e contenti.
Questa è la versione tradizionale, quella che separa in maniera netta bene e male.
Poi c'è Maleficent.
Frutto del debutto alla regia di Robert Stromberg, il film è uscito da poco nelle sale. 28 maggio in Italia.
Malefica è una fata. La bellezza algida di Angelina Jolie si accosta a fattezze da creatura magica piuttosto ambivalenti. Più o meno un incrocio tra Barbie e gli elfi del Signore degli Anelli. O, se preferite, tra Avatar e Tomb Raider. In una danza che parte come un lento romantico per arrivare ai balletti mozzafiato in stile Kill Bill. Ma, a dispetto del nome, Malefica non ha nulla di cattivo. E' solo una ragazza innamorata e sognatrice. E Stefano mica è un principe. Nossignori. Lo diventerà, con l'inganno e il tradimento, ma solo dopo essersi presentato come contadino, a dire il vero anche un po' sfigato. Per salire al trono promette al sovrano morente di uccidere Malefica, che vive nella Brughiera e non concepisce l'idea di dominio. Ma in fondo il giovane non ha ben chiari i suoi sentimenti. O ha poco coraggio. Infatti non riesce a uccidere Malefica, ma le strappa semplicemente le ali. Le porta a re Enrico e ottiene il trono.
Poi la storia continua, più o meno come la conosciamo. Ovviamente, però, la guardiamo con un diverso paio di occhiali. Le tre fatine sono sbadate e rompiscatole, Aurora è sì bellina, ma nulla in confronto a Malefica. E quest'ultima farà anche la parte della cattiva, ma risulta quasi simpatica, oltre che tenera. E Filippo? Il principe che dovrebbe salvare la bella addormentata dal sonno profondo? Beh, già nella favola non si può definire un campione di sagacia: lui e il suo cavallo che mangia carote. Ma nella pellicola di Stromberg assume sfumature comico-patetiche: prima non trova il regno di Stefano e vabbè, caro mio, ci sono solo una brughiera e un paesello, forse un navigatore sarebbe eccessivo. Poi si fa problemi a baciare Aurora, appunto dormiente, perché: <<si sono visti una volta soltanto e si sentirebbe in imbarazzo>>. Ma sei o non sei l'eroe, per dindirindina? Insomma, non ci siamo.
Per fortuna c'è Malefica. E non solo perché ci regala il piacere di una fiaba antica libera dagli archetipi, ma anche perché alza un velo sul significato della parola amore. Che non è tutto pathos e baci alla francese, non solo un sentiero in avanti, ma anche un perdersi, tornare sui propri passi, ritrovarsi, ricostruire su fondamenta più solide. Pentirsi. Perdonare.
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