«Gli
italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di
calcio come se fossero guerre». Una frase, uscita dalla bocca di Winston
Churchill, che ha piantato radici robuste nella memoria collettiva. Forse
perché scandalizza. Forse perché sa di stereotipo. O forse perché, tutto
sommato, ha un fondo di verità, come d’altronde ogni leggenda metropolitana.
Perché non si può negare che l’Italia nutra una passione sfrenata verso il
calcio. Ma con i mondiali è diverso. Quel senso di appartenenza che solitamente
unisce e divide la tifoseria in lungo e in largo per lo Stivale, ogni 4 anni
rende la nazione una nazione. E così siamo tutti più azzurri, tutti più
italiani davanti alla coppa del mondo.
Il calcio
sarà anche un credo, un rito sacro celebrato su quell’altare pagano che è lo
stadio, o il televisore, ma pur sempre di un gioco si tratta. E allora bando al
moralismo. Perché nonostante gli interessi economici e le diatribe che montano
senza dubbio il business dei mondiali, ogni quattro anni, ormai da svariati decenni,
ha luogo un vero e proprio fenomeno sociale e culturale. Non solo in Italia, ma
in tutti i Paesi del globo che partecipano alla coppa. Uno per tutti, tutti per
tutti, per intenderci. E’ proprio il caso di storpiare i proverbi, perché
l’afflato patriottico generato da una singola nazionale determina calore e
solidarietà tra tutti i cittadini. Uomini e donne, giovani e vecchi. Così,
almeno per qualche afosa serata a cavallo tra giugno e luglio, nessuna moglie
sbufferà davanti alla partita in tv, e magari preparerà birre e panini alla
tifoseria in pole position sul divano. E anche le ragazze prenderanno parte ai
raduni serali, organizzati apposta per seguire il torneo. Dal tradizionale
concerto di trombette e inni nazionali, con il bagno nelle fontane delle piazze
in caso di vittoria, a esternazioni più bizzarre e variegate: torte azzurre o
tricolore, abiti a tema, o addirittura il volto dipinto a mo’ di bandiera.
Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Immagini viste e riviste, immaginate e
immaginabili: purtroppo non si può parlare dei mondiali di calcio senza
sfiorare il cliché, perché si tratta di un evento che ha nel dna il gene della
tradizione. Forse è proprio questo il suo fascino: ripetere gesti e situazioni,
fino a farli diventare usanze. Creare atmosfere. Proprio a questo fattore deve
la sua fortuna un repertorio sterminato di letteratura filmografica e musicale.
I tormentoni discografici, selezionati ed eletti appositamente come inni dei mondiali.
Chi non ha ballato il Waka waka di Shakira nell’estate del 2010? E chi, quattro
anni prima, non si è emozionato sentendo The time of our lives? Si arriva fino
a El Mundial, allegra marcetta scritta da Ennio Morricone per Argentina 1978,
passando per Un’estate italiana, cantata da Edoardo Bennato e Gianna Nannini in
occasione di Italia ’90. «Non è una favola e dagli spogliatoi escono i ragazzi
e siamo noi», il verso cult che ha fatto battere all’unisono i cuori degli
italiani in quell’estate di 24 anni fa. La fortuna delle canzoni ufficiali
delle coppe del mondo è che esse vengono collegate non tanto al calcio, quanto
a tutti gli eventi collaterali che segnano l’estate in una rassegna
patriottico-popolare. Così nei mondiali del Brasile non sono i calciatori a
giocare sulle note di Pitbull e Jennifer Lopez, ma i nostri ricordi a ballare
al ritmo di Olé Olà.
D’altronde
nemmeno i registi si sono risparmiati: c’è un film emblema o documentario più o
meno per ogni coppa del mondo. Spesso prodotto dal Paese che l’ha ospitata ma
non necessariamente. Il mondo ai loro
piedi (Alberto Isaac, 1970), G’olé (Tom
Clegg, 1982), Hero (Tony Maylam, 1987),
Notti magiche (Mario Morra, 1990), La coppa della gloria (Drummond Challis,
David Wooster, 1998), La grande finale (Pat
O’ Connor, Michael Apted, 2006). Non mancano nemmeno pellicole non prettamente
basate sui mondiali ma che hanno sbancato al botteghino grazie a essi. E’ il
caso di Notte prima degli esami oggi
(Fausto Brizzi, 2007). Lo stesso regista ammette di essere stato salvato dalla
coppa del mondo: «Dopo il successo di Notte
prima degli esami, mi chiesero di replicare. O lo fai tu, o lo farà qualcun
altro, dissero. Doveva essere sempre incentrato sulla maturità e possibilmente
con gli stessi attori. Quindi non potevo realizzare un sequel, dovevo proprio
fare un remake. Ma non era facile, sia perché alcuni fiori all’occhiello del
cast, da Giorgio Faletti a Cristiana Capotondi, non ci sarebbero stati sia
perché il primo film era ambientato negli anni 80 e il suo fascino era quel
periodo, quell’atmosfera. Dovevo trovare un elemento altrettanto forte per
caratterizzare una storia che, lo ammetto, non aveva nulla di particolare e in
più si rifaceva a un modello già visto a distanza di pochissimo tempo. Per
fortuna c’erano i mondiali di calcio». E in effetti non si può dare torto a
Brizzi: quella notte prima degli esami, traslata dal 1989 al 2006, non avrebbe
nulla di emozionante se non ci fosse il costante sottofondo dei mondiali. La
sceneggiatura va infatti completamente fuori strada rispetto al titolo: nessun
adolescente si rivedrebbe mai in quella notte pre-maturità, se non per un
particolare: la partita in tv, quella che riempie i locali e costituisce la
colonna sonora delle serate di studio collettivo, il valido motivo per
distrarsi dai libri. E, a proposito di libri, anche la parola scritta ha
intascato qualche asso in occasione dei mondiali di calcio. Lo sa bene Gianni
Brera, celebre giornalista sportivo che ha prodotto il testo forse più completo
e significativo sul tema: I mondiali di
calcio, una raccolta di racconti, aneddoti personaggi e tradizioni sulla
coppa del mondo dal 1930 al 1974, con la ristampa di Ebook, arricchita dalla
postfazione di Gigi Bignotti, in occasione di Sud-Africa 2010 e a 8 anni dalla
morte dell’autore. Che il tema dei mondiali fosse in grado di far comprare un
libro anche a tutti quelle persone che leggono solo la Gazzetta dello Sport,
Brera lo aveva senza dubbio intuito, tanto che non si limitò a quel testo, ma
pubblicò anche I miei mondiali (1986)
e La leggenda dei mondiali (1990).
Come lui fecero anche altri, seppure con meno gloria: Raffaele Ciccarelli, con Ottanta voglia di vincere. Storia dei mondiali di calcio (Cento autori, 2010),
Gino Cervo e Antonio Gurrado, con Mondiali
dal 1930 a oggi. La coppa del mondo e i suoi oggetti di culto (Bolis,
2010), Carlo Chiesa e Lamberto Bertozzi, con Il secolo azzurro 1910-2010 (Minerva, 2010). Tutti serviti freschi
in libreria qualche settimana prima della grande ouverture: da sfogliare con
calma sotto l’ombrellone, da divorare senza ritegno a poche ore dalla diretta
tv o da conservare, come consolazione, per non sentirsi troppo spaesati a
mondiali conclusi.
In tutto
ciò non poteva mancare la buona o cattiva maestra del XX secolo, la scatola
sempre più piatta, sempre più larga, sempre presente: è la televisione
l’ancella indispensabile dei mondiali di calcio. E se le reti, sportive o
generaliste, si contendono i diritti per trasmettere le partite, il restante
comparto si rifà con i programmi di approfondimento, gli speciali con ospiti
d’eccezione e pure con la fiction. Per Brasile 2014, ad esempio, I Simpson, serie-tv
ideata da Matt Groening, hanno preso nel loro diabolico mirino i
mondiali, con un episodio realizzato appositamente per celebrarli. O meglio:
per canzonarli in maniera beffarda. In cosa consisterà? Molto semplice:
proprio come è già accaduto in passato con molte star che si sono viste
disegnate nei divertenti personaggi dei Simpson, ognuna delle squadre di calcio
che parteciperanno al progetto subirà una trasformazione nel tipico stile
Groening. Tra le squadre che hanno già accettato ci sono FC Barcelona, FC Zenit
San Pietroburgo, Corinthians e Boca Juniors. Inoltre, a marzo 2014, è andata in
onda la puntata speciale dal titolo “You Don’t Have To Live Like a Referee”
(“Non c’è bisogno di vivere come un arbitro”), che ha visto lo scanzonato padre
di famiglia Homer impegnato per i mondiali nel ruolo di arbitro.
Insomma,
una compagnia costante, che si conserverà non solo negli archivi digitali, ma
per molti anche in armadi e cassetti. Chi non ha ancora, magari accantonato in
un angolo sperduto della casa, un portachiavi con Ciao, l’omino tricolore
stilizzato di Italia ’90? O un cappellino da baseball blu di France ’98?
Quest’anno ci tiene compagnia Fuleco, l’armadillo scelto come mascotte per
Brasile 2014.
Il nome deriva dalla fusione delle due parole portoghesi futebol
(calcio) ed ecologia (ecologia) e l’animaletto ha ovviamente un valore
simbolico, visto che ha la capacità di avvolgersi come una palla. Peccato solo
per i colori, giallo, azzurro, bianco e verde, che sono più o meno gli stessi
di Foody, contrassegno di Expo 2015. Riusciremo a non nausearci con questa
quadricromia? Presto per pensarci. Intanto si spera di usare Faces per brindare
alla vittoria italiana. Che cos’è Faces? Non un surrogato di facebook, ma un
vino, il vino ufficiale di Brasile 2014. E a idearlo è stata una giovane enologa
di origini vicentine, Monica Rossetti. Quindi ecco la frase di un altro uomo,
il cui volto è rimasto impresso nell’annuario politico del popolo italiano.
Disse un giorno Fausto Bertinotti: «L'impresa
della vittoria ai mondiali di calcio fa la gioia di un intero Paese, che nella
festa scopre le ragioni di qualche momento di fraternità». Pur sperando che i motivi di solidarietà siano anche altri, non lo
si può contraddire.
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