martedì 24 febbraio 2015

Fatti anche tu un soggiorno in ospedale

Uatankaaa!
Se avete compreso questo incipit gutturale, che in realtà è un motto, significa che anche voi un po' perversi lo siete. Sicuramente non quanto registi, produttori e sceneggiatori di Braccialetti rossi, serie tv che ogni domenica, imperterriti, ci ostiniamo a guardare, magari anche lamentandoci che un programma tanto seguito e tanto amato dai ragazzini cominci alle 21.40 anziché alle 20.30.

Piace tantissimo. Specialmente agli adolescenti. Ma non solo. Il format è ispirato alla serie spagnola Polseres vermelles, a sua volta tratto dalla storia vera dello scrittore Albert Espinosa, che per dieci anni ha avuto il cancro e poi, una volta guarito, ha deciso di raccontare la sua triste esperienza in un libro. Eppure, perdonate la crudezza, dubito che Espinosa mentre si trovava in un letto d'ospedale avesse voglia di amoreggiare con le altre pazienti, pure loro malate. O che tra una chemio e l'altra trovasse le forze di andarsi a fare una gita al mare.

Non hanno inventato niente. Né gli spagnoli né gli italiani (Giacomo Campiotti, regia e sceneggiatura; Sandro Petraglia, sceneggiatura). E non solo perché si sono ispirati a Espinosa, ma soprattutto perché hanno preso uno dei topòi tipici della soap opera, l'ospedale, e l'hanno unito agli altri generi (prevalentemente sit-com e real drama). Ne abbiamo visti tantissimi di intrecci amorosi all'interno degli ospedali. Solo che, per fortuna, di solito si aveva il buon gusto di far flirtare medici e infermieri, se proprio il personale asa, ma non i pazienti.

Invece in Braccialetti rossi accade proprio di tutto. Al diciottenne con tumore alla testa scatta l'ormone mente palpeggia una ragazza degente con cancro al seno. Il bimbo appena risvegliato dal coma si è ripreso talmente bene da sfoderare passi di danza e piroette al capezzale di un'adolescente in stato vegetativo. Un ragazzino dimesso da qualche mese viene riportato in scena, perché la dottoressa lo mette a lavorare come inserviente dell'ospedale. E il piccolo canta motivetti napoletani mentre prepara una pastiera (norme igieniche, quando mai, sfruttamento del lavoro minorile cos'è) e discute con l'amico dall'oltretomba. Per non farci mancare nulla, ed essere anche politically correct, abbiamo pure il paziente filippino, che però viene puntualmente scambiato per un cinese. E chiamato Chicco. Come un chicco di riso? 

Poi li fanno recidivare tutti. Alla fine della prima stagione il cerchio doveva in un qualche modo chiudersi. Chi poteva sapere se ci sarebbero stati abbastanza soldi per un secondo ciclo di puntate? Così i giovini erano stati dimessi o quanto meno mostrati in via di guarigione. Tutti i capelli ricresciuti e tutti i traumi passati. Finché c'è vita c'è speranza, starete pensando. Non su rai uno. Incredibilmente, nel giro di due giorni, sono di nuovo tutti malati e ricoverati, un po' come i personaggi di Beautiful che tornano dall'aldilà al momento opportuno. In un reparto dove, per giunta, non si capisce in che cosa siano specializzati, perché la cura è omnibus: bimbi, adolescenti, donne incinte e anziani; tumori, malattie psichiche e traumi cerebrali.


E' questo aspetto che fa rabbrividire. Non l'utilizzo del contesto, ma la totale deformazione della malattia. Forse la gente dovrebbe sapere che di cancro, di traumi post-incidente e di disturbi alimentari si muore. Che stare in ospedale, da veri malati, non è proprio una permanenza al villaggio Valtuor. Nonostante i braccialetti di plastica rossa. E nonostante a trasmettere la storia sia rai uno.



venerdì 20 febbraio 2015

L'arte dell'ordine

Chi ha sempre visto le persone ordinate come soggetti fastidiosi, ossessivi e quasi ridicoli, si dovrà ricredere. Negli ultimi tempi l'ordine è diventato un'arte, oltre che uno modo di vivere. Una filosofia basata sull'efficienza, ma anche sulla svolta. "La vita vera - afferma Marie Kondo - inizia dopo aver riordinato". In tanti hanno iniziato a seguire il pensiero di questa scrittrice e ex-sacerdotessa scintoista giapponese. I suoi libri sono diventati best-seller in Giappone e negli Stati Uniti, ma anche in Italia Il magico potere del riordino (Vallardi ed.) ha avuto sette edizioni in due mesi, vendendo più di 30mila copie. 

La Kondo è stata definita guru degli armadi a muro. I suoi seguaci sono tenuti a rispettare poche e semplici regole: piegare e non appendere, buttare tutto quello che non serve e procedere al riordino in una sola volta. Quindi banditi i calzini appallottolati e i vestiti appesi: "Tutti noi tendiamo ad appendere indiscriminatamente - si rammarica Marie Kondo - invece gli unici abiti che dovremmo mettere sulle grucce sono quelli che ondeggiano al vento con aria felice e quelli rigidi che non si possono piegare. Gli altri devono essere rigorosamente disposti uno accanto all'altro in verticale, perché - continua la scrittrice - accatastare le cose una sull'altra è doloroso per quelle che si trovano sotto". Lo stile Kondo ha già spopolato sui social, come dimostrano le fotografie postate su Instagram con l'hashtag #Konmaritunnel.



Armatevi di un sacchi e scatoloni e svuotate la vostra casa da tutto ciò che non serve. Secondo la Kondo, "buttare via non è uno spreco: potete dire di starvi prendendo cura di quei vestiti accatastati in fondo all'armadio, di cui non ricordate nemmeno più l'esistenza? Liberateli dalla loro prigione. Salutateli. Smettete di pensare magari l'anno prossimo". Lo stesso vale per i libri, le carte, gli appunti. Non siete convinti? "Facciamola finita con inutili sentimentalismi, tanto tutto torna. Più lo buttate, più quello vi si ripresenterà in un'altra forma più adatta a voi. Ve lo prometto" è la risposta rassicurante dell'autrice, che pretende anche un certo rigore nella pratica del riordino. "Niente tuta, perché si rischia di trovarla comoda e indossarla anche per strada. Bisogna affrontare la faccenda con eleganza. Si tratta pur sempre di un rito". 

Ma non è solo la Kondo ad aver sfatato il mito che associa il disordine alla creatività e l'ordine alla piattezza e alla noia. L'artista svizzero Ursus Wehrli ci incanta con il fascino della simmetria e della perfezione. Le sue opere mostrano gli oggetti secondo ordinati accostamenti di colori, dimensioni e forme e sono racchiuse nel libro fotografico The Art of clean-up. Anche per Wehrli la messa in ordine assume un valore esistenziale: salvare il mondo dall'entropia.





"Qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, l'ordine ne è una indispensabile condizione". Si apre così il saggio di Rudolf Arnheim Entropy and art. An essay on disorder and order (1971), in cui lo storico dell'arte intreccia architettura e psicologia per giungere a una più ampia riflessione sul modo di comunicare e di fare arte: "Il massimo dell'ordine viene trasmesso con il massimo di disordine: qualcuno o qualcosa ha confuso i nostri linguaggi". Secondo Arnheim, solo ridiscutendo i concetti di "ordine" e "disordine" è possibile comprendere il funzionamento stesso della creatività e capire come l'arte sfugga all'antico e ambivalente sogno di prevederla e di imbrigliarla.

domenica 15 febbraio 2015

Birdman (o L'imprevedibile virtù dell'ignoranza)


Birdman racconta un nuovo capitolo della storia del divismo, quella che a Brodway o forse ancora prima ad Atene, è iniziata con il teatro, per travasarsi poi nel cinema hollywoodiano. C'è chi dichiara ufficialmente chiusa l'epoca delle star con la morte di Marilyn Monroe e quella di James Dean. Una metafora reale di come anche i divi cenere da cenere sono nati e cenere diverranno. Da allora, con il neo realismo e la Nouvelle Vague, il divo diventa persona. Nemmeno attore. Sarà poi la Hollywood barocca degli anni Ottanta, con i blockbuster e gli effetti speciali, a riportare in auge il principio di attore-celebrità.

Ed è proprio in questo mondo di azione e artificio, di maschere e super eroi, che Riggan Thompson (Michael Keaton) si è guadagnato la fama grazie al personaggio-uccello Birdman. Ma finito il ventennio che va da Jurassic Park a Matrix, arriva l'11 settembre e quel terrorismo che gli effetti speciali te li fa vedere in diretta tv e senza artifici. Non serve più essere un super eroe per avere l'ammirazione del pubblico. La fama di un attore non è correlata al grado di divertimento che le sue performance producono. Al contrario, i veri vip sono gli intellettuali, gli autori, quelli che sanno recitare a teatro pièce sconosciute ai più. Addirittura i critici, che un tempo venivano definiti mancati artisti, assumono più importanza degli attori e dei registi, come dimostra nel film di Inarritu la figura della giornalista Tabitha Dickinson (Lindsay Duncan): una sua recensione sul New York Times determinerà il destino dello spettacolo.


L'olimpo dei divi è divenuto meno democratico, una nicchia in cima alla piramide sociale, che con la Grande Crisi è andata schiacciandosi sempre più. Per questo Riggan Thompson (palese l'assonanza con Ronald Regan, l'ex presidente degli Stati Uniti che ha segnato l'epoca del rampantismo e degli yuppies anni Ottanta) ormai non è nessuno, se non un grande uccello (voluto, forse, il rimando a qualcosa di triviale e pornografico) intrappolato dentro ai superati vhs. 

Non si sa se Riggan sia davvero un romantico in cerca della gloria perduta, come vorrebbe farci credere il lembo di tovagliolo su cui Raymond Carver (da ubriaco) gli aveva scritto Thanks for your honest performance e che lo aveva così convinto ad affidare il suo riscatto alla messa in scena di "What we talk about when we talk about love", appunto di Carver (chiediamoci come mai non "Romeo and Juliet" di Shakespeare). O se invece Riggan sia solo un materialista, come vuole farci credere la voce del suo alter ego Birdman, che lo invita costantemente a tornare nel cinema del business e a lasciar perdere gli intellettualismi senza risvolti economici. Riggan d'altronde deve pur dar da mangiare alla sua famiglia sbrindellata. I tempi delle vacche grasse sono finiti e ha dovuto ipotecare la casa di Malibù della figlia Sam per pagare l'allestimento dello spettacolo. La contraddizione - far soldi con uno spettacolo che in pochi possono apprezzare - stupisce l'alter ego sempliciotto, materialista e ormai demodé, separando Birdman da Riggan.


Sono davvero così inconciliabili il mondo del digital surround e quello del palcoscenico polveroso? Alcuni indizi sparsi nel film sembrano darci una risposta. Innanzitutto, nell'era del web a decretare il successo o l'insuccesso di qualcosa è ancora un giornale. Un quotidiano cartaceo, il New York Times, appunto, dove la Dickinson propone le sue recensioni impietose. Al tempo stesso la crème di radical chic pronta ad acclamare o a demolire il lavoro di Riggan esce da teatro con in mano gli smart phone. Ed è con gli stessi strumenti che Riggan viene fotografato e filmato in mutande mentre attraversa una platea stradale fatta di Disney e di Mac Donald's, di quel mondo consumista e ignorante che lo ama ancora e lo ha sempre amato. Su twitter e su youtube l'ex uomo uccello ritrova la fama.

Sur(realismo) o, come direbbe Marco Belpoliti, post human, sembra essere il trait d'union tra due mondi: il commerciale e l'intellettuale, il blockbuster e il teatro. Lo stesso realismo poco reale che abbiamo visto nel primo decennio del nuovo secolo con i reality show, dove il vero si intreccia con il precostituito. Esattamente come nei salotti di Maria De Filippi o nei film d'animazione digitalizzati, in cui tutto è falso tranne l'attore che dà la sagoma al personaggio. O come Mike Shiner (Eduard Norton) che recita ovunque tranne che sul palcoscenico: lì a differenza che altrove, riesce finalmente ad avere un'erezione. 

Riggan non si spara per finta, ma non muore neanche per davvero. Nella stanza d'ospedale lascia il suo alter-ego Birdman, si butta dalla finestra ma lo fa per seguire altri uccelli.
E' vivo o morto? Che cosa dice lo sguardo della figlia Sam quando guarda prima in basso con terrore
e poi in alto con tenerezza?
Non lo sappiamo. Inarritu ci fa lo stesso scherzetto che aveva già sperimentato in Babel. Allora lo spettatore veniva privato di un contenuto fondamentale: la lettera che Chieko, la ragazzina giapponese sordomuta tra i protagonisti del puzzle film, dà al poliziotto con cui ha tentato un approccio sessuale.

Che dire? Se nel 2007 uno dei film chiave sul divismo proposti agli studenti di cinema era Essere John Malkovich, Birdman nel 2015 si candida con buonissime probabilità a sostituirlo o affiancarlo.

giovedì 12 febbraio 2015

Il colore come forma di espressione

Se fossi un colore, sarei...marrone, come la terra da cui crescono piante, fiori e frutti. 


Ma soprattutto arancione, come le foglie più belle in autunno, la stagione che preferisco.


Oppure giallo, come il sole quando è veramente sole: riscalda, accalora, ma scotta anche. 


Infine rosso, perché rosso è per convenzione l'amore, il cuore sbavato col pennarello nei disegni dei bambini.

Poi ci sono quelle tinte che o le ami o le odi. Il fucsia, per esempio. Io lo adoro, ma per anni non ho potuto vederlo. Mi sapeva di finto. Adesso invece mi sa di: wow!


O il nero, che proprio non lo tollero, ma c'è gente che si veste solo de noir.


Che colore immaginate per la vostra personalità?
Anche le emozioni e gli stati d'animo possono rendersi visibili attraverso i colori. A volte non serve nemmeno la forma. Basta una pennellata più o meno corposa. Un incontro impensato tra tinte. Qualcosa che non ha nulla a che vedere con la scala cromatica che ci facevano studiare alle elementari: colori primari e colori secondari - io tra l'altro temo di non averla mai imparata - ma che in fondo da essa discende.


E chissà se Cristian Febbrari li ha fatti questi ragionamenti, se si è affidato a un metodo o all'onda di un impulso. Probabilmente entrambe le cose. Perché è col sentimento forgiato dalla regola che nasce lo stile e magari si tramuta in arte.
Cristian è un emergente di pittura eclettica e astratta, fatta per lo più di colori ma attraverso i più svariati materiali. 


La sua personale verrà inaugurata domenica 15 febbraio nello spazio de L'Altra Arte (via N. Sauro, Bagnolo Mella).


mercoledì 11 febbraio 2015

Siani, il cattivo di San Remo

Il comico Alessandro Siani 
Alessandro Siani è proprio un bell'uomo. Fa pure ridere. E la Rai, per la sua zingarata di ieri sera, sono certa gli sia estremamente grata. Perché non è San Remo se non c'è musica. Non è San Remo se non ci sono pettegolezzi. Ma specialmente: non è San Remo se non c'è un cattivo con cui arrabbiarsi. Più che di canzoni, è il festival delle polemiche.
Giusto così, fanno sempre bene le azzuffate. E in Italia non ce le risparmiamo mai.
Quest'anno il cattivo è Alessandro Siani. Anche se ha devoluto il suo cachet in beneficenza, anche se ha fatto un discorsone strappalacrime su Pino Daniele. Anche se abbiamo riso tutti quando ha sfottuto i politici. Quella battuta, però, non la doveva fare. "Ma ci stai sulla poltrona? Pensavo fosse una comitiva, invece è uno solo".
Parole rivolte in diretta tv, davanti a milioni di italiani, a...un bambino. Sì, un bambino obeso. Che sicuramente queste gentilezze se le sarà sentite dire più volte dai compagni di scuola, magari anche in modo meno garbato. Che ha un'età sufficiente per rendersi conto di essere effettivamente grasso. Che, tutto sommato, magari oggi si sentirà un po' speciale, dopo aver fatto la foto col vip e dopo essere finito sulle pagine di tutti i giornali.
Peccato che nessuno abbia avuto effettivamente a cuore il bene del bambino. Sennò si sarebbe parlato privatamente con Siani, penalizzandolo in un qualche modo, ma senza dare scalpore. O, e non ci voglio pensare ma non è da escludere, i genitori non lo avrebbero portato per costruire la battuta ad hoc.
Il bimbo, invece, è stato ripreso in tv, molti siti web nemmeno ne coprono il volto, tanto più che dalla pagina twitter di Siani è possibile farne uno screen shot. Carta di Treviso, tutela del minore. Adieu. Per molto tempo tutti ricondurranno la sua faccia a questo evento tragicomico. Magari senza conseguenze, magari con. Certo è che la cascata di critiche che si è abbattuta sullo show man partenopeo ha più il sapore del business che della pedagogia.


Poi il caro Siani poteva evitare le gaffes. Ma quelle successive. Come la foto insieme al bambino, come le scuse sui social, tanto più inconsistenti quanto più tentavano di essere credibili.
Sarebbe bastato un: "Scusate, ho sbagliato".

venerdì 6 febbraio 2015

Super staminali: cellule della speranza e della discordia

Cellule tutto fare, in grado di riparare tessuti e organi malati, di curare malattie senza speranza e addirittura di restituire la giovinezza. Sono le staminali, almeno come alcuni le immaginano. Poi c'è l'altro fronte, quello del: no, fermi, queste sono cose da stregoni. Abbiamo visto che fine hanno fatto i guru della medicina fantascientifica

Senatrice Elena Cattaneo
Mercoledì 4 febbraio la commissione Sanità del Senato ha emesso una condanna senza appello permetodo Stamina. Nelle 120 pagine della relazione conclusiva sull'inchiesta, i senatori Elena Cattaneo e Luigi D'Ambrosio Lettieri hanno ribadito l'urgenza di interventi legislativi che impediscano il replicarsi di casi come Stamina. L'idea sarebbe un decreto ministeriale sulle cure compassionevoli che assegni la responsabilità del controllo all'Aifa (Agenzia italiana del farmaco). Un documento del genere è già stato firmato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, ma non è ancora stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Nello specifico, il decreto Lorenzin fisserebbe regole più precise in caso di terapie avanzate e l'obbligo che i medicinali in esse utilizzati siano conformi alle norme europee di fabbricazione dei farmaci. Altri paletti sarebbero l'autorizzazione dell'Aifa per produrre e somministrare tali medicinali e la limitazione del loro utilizzo a ospedali pubblici, cliniche universitarie e istituti di ricovero e cura.
Si propone inoltre di normalizzare le sentenze in cui arrivano pazienti o familiari disperati, che rivendicano il diritto di potersi curare come vogliono, anche, magari, con terapie nocive. In questo caso la soluzione sarebbe che nei giudizi d'urgenza in cui si richiedono trattamenti terapeutici non autorizzati si ponessero come controparti necessarie il ministro della Salute e l'Aifa. Ultimo, ma non meno importante, abolire quella parte del decreto Balduzzi (convertito poi nella legge 57/2013), che fa rientrare le terapie di Vannoni tra le cure compassionevoli. 

Nel frattempo Mastro Stamina ha chiesto il patteggiamento (un rito speciale che gli consentirebbe, saltando la fase dibattimentale e quindi dando praticamente per scontata la sua colpevolezza) per ridurre a 22 mesi la pena. Le accuse, tra le altre contestazioni, sono di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ed esercizio abusivo della professione medica. (Memorandum: Vannoni era uno psicologo). Il 18 marzo la decisione del gup.


Ma Stamina non
significa staminali,
deve essere chiaro.








Staminali sì o no, quindi?
Dipende.
Di fatto, le staminali sono cellule indifferenziate, capaci di moltiplicarsi e dare origine a cellule mature: neuroni, fibre muscolari, globuli bianchi o rossi, cellule del fegato, dell'intestino, persino della retina. 

La scienza ha tante certezze 
quanti dubbi ancora da svelare.


Innanzitutto è bene dividere questo tipo di cellule in due tipi: quelle embrionali, che si prelevano da un embrione di 4 o 5 giorni dopo la fecondazione e che possono trasformarsi in qualsiasi elemento del nostro corpo; e quelle adulte, presenti in diversi organi e tessuti già formati, ma decisamente meno versatili.
Partiamo da queste ultime. La loro funzione è sostituire le cellule che muoiono nel tessuto di cui fanno parte. Certo, gli scienziati hanno anche provato a influenzarne lo sviluppo in laboratorio, modificando le loro condizioni di coltivazione. I risultati di tali esperimenti, tuttavia, sono ancora piuttosto controversi. Per ora, dunque, il mestiere che le staminali adulte sanno fare meglio è trasformarsi in ciò per cui sono programmate.

Vale a dire?
- Il trapianto di midollo, per esempio, che è a tutti gli effetti un trapianto di staminali del sangue (dette cellule ematopoietiche). E' usato già dagli anni Settanta nella cura di tumori e di altre malattie ematologiche. Da circa 25 anni, tra l'altro, si possono ottenere gli stessi risultati anche con le cellule ottenute dal cordone ombelicale, che hanno il vantaggio di avere una reazione di rigetto al trapianto decisamente meno probabile.

cellule staminali ematopoietiche

- Ben consolidato, anche se possibile solo in ospedali all'avanguardia, è l'impianto di lembi di pelle ottenuti in laboratorio a partire da staminali dell'epidermide. Questo tipo di operazione viene in genere fatta per i grandi ustionati.
- Infine, lo scorso 15 ottobre l'Agenzia europea del farmaco (Ema) ha dato il via libera al trapianto di staminali della cornea, per curare lesioni o forme di cecità in cui questo tessuto è danneggiato e non può rigenerarsi da solo.


Stop.
Attualmente non esistono
altre terapie abbastanza efficaci,
testate e sicure da potersi applicare
sui pazienti in maniera tranquilla.


Certo, c'è la sperimentazione, che non smette mai di aprire nuove porte, ma, di queste porte, bisogna trovare la chiave, non forzare la serratura. Quali le speranze per il futuro?
- Nel mirino dei ricercatori ci sono le malattie degenerative del sistema nervoso, come il morbo di Parkinson o la corea di Huntington, l'ictus, la sclerosi multipla, la Sla, l'infarto, il diabete, le lesioni al midollo spinale, le malattie della retina e altro ancora. Bisognerà aspettare ancora molti anni perché queste terapie siano disponibili.
- Più vicine paiono le staminali mesenchimali, presenti nelle articolazioni del midollo osseo per riparare la cartilagine consumata in chi soffre di osteoartrite. E' al vaglio la sperimentazione di queste cellule anche per migliorare l'attecchimento dei trapianti, ma la loro efficacia in questo ambito dipende dal microambiente in cui si trova l'organo trapiantato. Ciò significa che potrebbero essere utili ad alcuni e inefficaci per altri.
- C'è poi uno studio, pubblicato proprio in questi giorni su Science Translational Medicine, sulle cosiddette staminali della memoria. Alcuni ricercatori del Tiget (Istituto San Raffaele Telethon per la ricerca genica) ha scoperto che un particolare gruppo di cellule del sangue (definite linfociti T), modificate con la terapia genica, sono in grado di mantenere nel tempo la loro capacità di riprodursi e di difendere così l'organismo da attacchi esterni. Questa memoria è di importanza fondamentale per le cure dei tumori, che hanno bisogno di rafforzare il sistema immunitario. Secondo i primi risultati, un simile gruppo di cellule potrebbe restare in allerta nel tempo ed entrare in azione anche in caso di recidive. Per questo vengono dette staminali della memoria.

Il pericolo più grande, secondo le dichiarazioni di esperti di Gianvito Martino, direttore della Divisione di neuroscienze dell'Ospedale San Raffaele di Milano sia di Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di oncoematologia dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, è che le staminali hanno un tasso di sviluppo e correlazione con altri fattori altissimo. In altre parole: non le si può ancora controllare alla perfezione.



Ultimo capitolo, che richiede uno spazio a parte, è la ricerca in embrione. Ad oggi esiste un solo studio sull'uomo già pubblicato. E' uscito a ottobre sulla rivista Lancet e ha coinvolto 18 pazienti con degenerazione maculare senile e sindrome di Stargardt, malattie, entrambe, che portano alla cecità. A due anni dalla terapia, non si sono visti effetti collaterali gravi e quasi tutti i pazienti vedono meglio o almeno non sono peggiorati.

Altri gruppi stanno sperimentando le staminali embrionali per il diabete di tipo 1 e per lo scompenso cardiaco, ma tutti devono fare i conti con due nodi cruciali. Il primo, di tipo tecnico, è che queste cellule, ancor più di quelle adulte, non hanno uno sviluppo pienamente controllabile e tendono perciò a esporre al rischio di tumori. Il secondo nodo da sciogliere è più che altro etico: per ottenere le staminali embrionali bisogna distruggere un embrione umano, e questo non è accettabile per chi ritiene che la vita vada tutelata dal concepimento. In Europa, per esempio, la legislazione non è per nulla chiara e risulta estremamente eterogenea. Per quanto riguarda l'Italia, comunque, non si possono ottenere staminali dagli embrioni, ma è possibile importarle dall'estero
(Della serie: occhio non vede, cuore non duole).