Funziona un po' come per Ulisse, l'eroe omerico che si fece legare a un palo per poter sentire le voci delle sirene senza caderne vittima. Solo che noi non possiamo farci legare a un palo. E nemmeno tapparci le orecchie. La tv, la radio, i giornali, il web ci passano sempre sotto il naso e loro però non cantano, gridano al pericolo, alla sciagura, alle catastrofi. E' il fascino dell'allarmismo. Premetto che non auspico a un sistema dell'informazione che filtri il mondo attraverso lenti rosa-shocking, ma nemmeno il nero pare essere particolarmente utile.
Parliamo di economia. Se la ripresa è ancora timida, la crisi lancia sfrontata quelli che, si spera, siano i suoi ultimi colpi di coda: un tasso di disoccupazione in crescita, livelli occupazionali che stentano a decollare. Ma la situazione è davvero così buia? Senza dubbio l’ottimismo da noi non è mai stato di casa: urlare è più liberatorio che parlare. Ritornelli forse più conosciuti delle tabelline: siamo un popolo di bamboccioni, guidati da istituzioni corrotte; in Italia non c’è speranza per i giovani, meglio fuggire all’estero; la ripresa è solo una bugia, il lavoro non si trova.Eppure basterebbe analizzare i dati, pulirli dagli attributi clamorosi che tanto piacciono ai media, per vedere il panorama da un’altra prospettiva. Che, in altre parole, vuol dire mettere al bando i luoghi comuni. Per esempio, è vero che il tasso di disoccupazione è cresciuto nel 2013 e crescerà anche nel 2014, ma questa informazione va letta alla luce di un risveglio dell’economia: più persone cercano lavoro e, almeno per un primo periodo, la tendenza delle imprese è sfruttare le risorse interne, aumentando gli straordinari dei dipendenti e riducendo il ricorso alla cassa integrazione. Quanto alla cosiddetta disoccupazione giovanile, sarebbe utile delineare limiti più precisi, perché, se si considerano i disoccupati tra i 15 e i 24 anni, la quota è senza dubbio elevata, ma si tratta di soggetti nella maggior parte dei casi privi di specializzazione formativa o ancora studenti. L’università non serve più? Pare proprio di no, visto che il tasso di occupazione più elevato si colloca nella fascia dei laureati (75,7% su una media del 55,6%), che sono anche quelli con un minore livello d’inattività (18,2% nel 2013, contro il 65,2% di chi ha una licenza elementare o nessun titolo di studio e il 29,3% di chi possiede un diploma) e di disoccupazione (7,3% su una media del 12,2%).
E’ più facile essere scoraggiati che presentare proposte innovative, buttare la spugna piuttosto che sudare sui libri. E se non si hanno le idee chiare riguardo al futuro? Provare comunque, imboccare una strada, perché non fare nulla è peggio che fare qualcosa di sbagliato. Il problema in Italia è proprio questo: non ci piace rischiare. E’ così che firmiamo la nostra auto-condanna: sprofondare nelle sabbie mobili del pessimismo.
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