Non sono trascorse nemmeno due settimane da quando
Alessandra e la sua famiglia hanno dovuto consegnare le chiavi della loro
abitazione in via Toscana, a Brescia. Lo scorso 7 aprile Alessandra ha detto
addio a quella che per 26 anni è stata la sua casa. Prima, però, lei e la
sorella Valentina hanno realizzato questo video, che mi piacerebbe mostrarvi.
T’Avrei Voluta ancora. Già. Dove Tav smette di divenire il
semplice acronimo di Treno ad Alta Velocità per assumere un senso più ampio,
quello del dolore di chi si vede sradicato così, senza preavviso, senza consenso. Come suppongo molti di voi, l’unica immagine che mi compariva
davanti agli occhi sentendo l’espressione No Tav era quella dei Black Block,
che collegavo a un attivismo violento e a un calderone di istanze indefinite,
mosso più dalla ribellione pretestuosa verso “Il Sistema” che da ragioni
concrete. Ma quando stamattina ho aperto la mail e ho visto questo video, mi
sono posta alcune domande. Quanto meno ho iniziato a informarmi. Perché lo
ammetto: anche tra noi giornalisti tira spesso un vento di superficialità.
Soprattutto se le giornate sono talmente piene e le notizie così tante da non
avere il tempo di approfondire ogni singolo grido di protesta. Ebbene, è
difficile sviluppare un’opinione coerente quando in gioco ci sono interessi che
paiono tanto lontani. Per intenderci: avevo un anno quando nacque il movimento
No Tav in Val di Susa. Allora le mie priorità erano mangiare, bere, dormire,
essere cambiata, stare con la mia mamma e il mio papà, giocare e litigare con la mia
sorellina. Ma anche nel luglio 2012, sebbene la protesta avesse coinvolto una
zona molto più vicina a me, appunto quella di Brescia, l’argomento non era
certo all’apice delle mie riflessioni. D’altronde la mia casa era al sicuro.
E una nuova linea ad alta velocità non mi pareva un elemento di disturbo,
semmai una fonte di comodità. Conoscevo di sfuggita e per vie traverse
Alessandra, dovevo averla incontrata a una qualche festa di amici comuni.
Insomma, non immaginavo nemmeno la tragedia che si stava consumando nella sua
famiglia. Ed è proprio questo uno dei punti fondamentali del discorso. Finché
non ci sei dentro, non ci pensi. Finché l’astratto non diventa concreto, rimane
solo fumo negli occhi. E poi, una mattina, ti trovi davanti un video come
questo.
Non intendo dilungarmi con argomentazioni pro o contro Tav e
No Tav. Anche io, a dire il vero, preferisco approfondire la questione prima di
esprimermi a riguardo. Penso però che una storia vera, le parole di una ragazza
che ha poi un anno in più rispetto a me, sia un buon modo per uscire dal
particolarismo filosofico. Particolarismo filosofico, appunto. Sembra un
ossimoro ma non lo è: da un lato infatti tendiamo a vedere solo una fetta
estremamente limitata, di solito quella impacchettata dai mass media, delle
questioni che muovono gli attivisti, dall’altro lasciamo sospeso il tema su un
livello squisitamente retorico. Apprendiamo cioè quel tanto che basta per
recitare una frase di circostanza durante l’aperitivo con gli amici o per
rispondere al quesito imbarazzante di chi ci chiede la nostra opinione a
riguardo. Io preferisco dire che un’opinione non ce l’ho. Perché non so. Perché
finché non l’ho visto incarnato nella mia amica il problema dei No Tav non mi
ha mai interessata.
Ecco dunque Alessandra che racconta.
Tutto è iniziato nel luglio 2012. Un
articolo del Giornale di Brescia parlava di lavori e cantieri che negli anni
successivi avrebbero recato disagi al traffico e alla cittadinanza; tra questi
c’erano quelli previsti per il Tav a Brescia, con l’abbattimento di alcune
palazzine. E’ stato lì che i miei familiari e io ci siamo allarmati. C’era la
foto di casa nostra.
Abbiamo iniziato a chiedere alle amministrazioni, ma ovviamente nessuno sapeva nulla e si
rimbalzavano la colpa l’un l’altra. Ad agosto, dopo un mese che i giornali
parlavano dei lavori e degli espropri, sono arrivate le prime comunicazioni di
Italferr (ditta incaricata dei lavori per la tratta bresciana del Tav) alle famiglie coinvolte, con la
richiesta di formulare una proposta di indennizzo per l’esproprio della propria
casa. Solo in via Toscana si trattava di 23 abitazioni; alle quali si
aggiungevano le 4 di Villaggio Violino e i giardini privati di via Roncadelle,
per un totale di circa cento persone coinvolte direttamente.
Cercando
informazioni sul sito di Italferr siamo arrivati alla realtà effettiva: era già
stato tutto deciso, compreso l’ammontare degli espropri. Questo senza
che nessuno avesse dato informazioni alle famiglie coinvolte. In via Toscana si
stava generando quindi il panico totale. Considera che la maggior parte dei
residenti erano anziani che vivevano in quelle case da tutta una vita e lì
avevano cresciuto la loro famiglia.
E il Comune? E gli
altri enti coinvolti? Che risposte vi hanno dato?
Dopo parecchie insistenze e il rumore
mediatico prodotto, il 2 ottobre 2012 noi (ex) abitanti di via Toscana siamo
riusciti a ottenere un incontro con il sindaco di Brescia (ai tempi Adriano
Paroli) e Italferr. Abbiamo fatto presente di sentirci abbandonanti dalle
istituzioni, ma Italferr, con rappresentanti molto prepotenti e umanamente non coinvolti, ha ribadito di non
voler modificare il progetto per
evitare l’abbattimento delle nostre case.
Intanto, essendo vicino alle elezioni
amministrative, Paroli, sindaco Pdl in carica, ha iniziato a farci promesse di
ogni tipo: parlava di ricostruzione delle case, di salvare una delle palazzine,
di ricostruire una “piccola via Toscana” in una zona vicina. La gente era spaventata,
le mie vicine di casa più anziane e vedove si auguravano di morire prima di
dover lasciare le loro case.
Nel frattempo da Italferr era arrivata a un
vero e proprio ricatto morale: o accettate i soldi dell’indennizzo o subentra
l’esproprio coatto e venite sbattuti fuori senza prendere niente. Per il tipo
di persone che abitavano in via Toscana e per l’assenza di un movimento di
lotta No Tav sul nostro territorio, tutti si sono arresi, aspettando che le
decisioni sulle loro vite e sulle loro case venissero prese dall’alto.
Ma
nessuno degli abitanti ha fatto nulla?
In realtà qualcuno sì. Alcuni hanno dato vita a un comitato di tutela, riuscendo ad avere un incontro con i principali candidati sindaci. E’ stato così che, in una sala piena di cittadini, abbiamo proiettato il video Tav, storie di espropri a Brescia
per spiegare alle amministrazioni
e a tutti i presenti che una casa non è solo mattoni, soldi e nulla più. Una
casa è ricordi, emozioni, sentimenti. In questo incontro i candidati si sono
mostrati completamente disinformati sulla questione Tav a Brescia, fatto
seriamente vergognoso visto il costo e l’impatto ambientale che ha sulla città. In ogni caso, tutti hanno promesso
vicinanza e comprensione, anche se poi, di fatto, nessuno ha mosso un dito nei
mesi successivi.
Tu
però ti sei mobilitata. In che modo?
Da agosto 2012, conoscendo gli attivisti di
Rete Antinocività Bresciana, insieme ad altri abitanti della zona ho creato un
gruppo, inizialmente composto da 3-4 persone, tra cui io e mia sorella
Valentina. L’obiettivo era informare sul Tav nella nostra città. Il gruppo è
poi cresciuto e abbiamo dato vita a
iniziative di ogni tipo: spettacoli di teatro, presidi, volantinaggi,
presentazioni di libri, proiezioni di video, dibattiti ecc. Adesso partecipiamo
anche a livello nazionale a una lotta che negli ultimi tempi è emersa non solo
come lotta contro un treno, ma contro un modello di sviluppo che non funziona.
Essendo parte di Rete Antinocività per noi
la questione ambientale di Brescia è un punto fondamentale per far emergere
come i soldi pubblici vengano spesi per grandi opere inutili, i cui i profitti
vanno a pochi, mentre l’ambiente e la salute dei cittadini sono all’ultimo
posto nell’agenda della amministrazioni. I soldi con cui verrà costruita la
tratta (2 miliardi solo per il lotto Treviglio-Brescia) sono di tutti e vengono
tolti a sanità, istruzione e altri servizi al cittadino. L’inquinamento
acustico, la devastazione ambientale, l’aumento del traffico e delle polveri e
i disagi dovuti ai lavori riguarderanno ognuno di noi. Molte persone ancora non
sanno, o forse fingono di non sapere. Come i negozianti e i cittadini che si
troveranno i cantieri davanti alle attività, sotto le finestre di casa. Per ora
non c’è, quindi non è un problema. La storia della Val Susa e di altre città
già segnate dal Tav purtroppo non è arrivata nel modo giusto. Credo che in
questo caso i mass media abbiano creato lo stereotipo del No Tav = Black Block,
che spaventa chi non conosce i motivi e le modalità di questa lotta e perciò se
ne tiene alla larga.»
Ma
chi avesse voluto o lo volesse ora, è libero di informarsi? Insomma, vi hanno
fatto vedere il progetto dei lavori e gli atti di esproprio?
Solo dopo diversi mesi di attesa, a dicembre
Itaferr ci ha mostrato gli atti,
permettendoci però di visionare solo una parte della documentazione, già
arbitrariamente selezionata, senza che quindi potessimo verificare la
correttezza delle procedure di esproprio e l’idoneità dell’opera.
Non
avete pensato di rivolgervi a qualcuno per far valere i vostri diritti?
Eccome, l’abbiamo fatto, ma non è così
semplice. Affidandoci a un avvocato, abbiamo fatto ricorso al Tar (Tribunale
Amministrativo Regionale), però abbiamo dovuto poi ritirarlo ancor prima della
udienza preliminare, a causa delle tempistiche che Italferr ci ha imposto e
perché lo imponeva l’accordo per la cessione obbligatoria della casa.
Che
cosa significa “cessione obbligatoria della casa”? Come si può essere obbligati
ad abbandonare la propria casa?
Si può. La chiamano '“espropriazione per
pubblica utilità” ed è un provvedimento giuridico che sacrifica il bene privato
per il bene della collettività. E’ iniziata a settembre del 2013 e si è
conclusa questo aprile.
Sembra
di essere nell’ex Unione Sovietica. Invece siamo in Italia. Che cosa ne pensi?
Sai quale sarebbe il bene della collettività
offerto dalla Tav? Un guadagno di 10 minuti di tempo tra Milano e
Brescia. A che costo però? Due miliardi di euro e capannoni, case, campi
espropriati e distrutti e un biglietto che sarà inaccessibile a tutti. Ma
ovviamente per far sì che questo sia visto come un bene e non come un danno
collettivo, è stato trovato un rimedio.
Quale?
Rendere il più inefficienti possibili i
servizi presenti, con ritardi, disservizi e soppressioni dei treni. Così,
invece di pensare a un ammodernamento, si costruisce una nuova opera con tanti
profitti e tanta mafia.
In
ogni caso, ancor prima che alla città, il danno l’hanno fatto a dei cittadini
in particolare. Quelli di via Toscana. Voi. Che tipo di indennità avete
ricevuto in cambio?
Con l’aiuto di un tecnico il comitato è
riuscito a imporre a Italferr di riconsiderare il valore effettivo di ogni
abitazione e così l’indennizzo è divenuto più congruo al valore della casa, ma
non ci ha comunque permesso di ricomprarne una di uguali caratteristiche e
soprattutto non ha tenuto in considerazione il danno morale a chi, come noi, si
è visto costretto ad abbandonare abitudini e ritmi di vita consolidati. Tra
l’altro, il fatto che Italferr avesse aumentato i soldi degli indennizzi,
probabilmente per levarsi un sassolino della scarpa e procedere alla velocità
della luce alla costruzione di un’opera che prima o poi tutti avrebbero
criticato, ha fatto sì che la gente ci prendesse meno sul serio. Gli abitanti
interessati erano già contenti di prendere più della miseria prospettata e chi ci
era vicino ci vedeva come i fortunati che avevano preso palate di soldi,
ovviamente basandosi più sulle voci che sui fatti. D’altra parte anche una
buona parte del movimento bresciano ha subito etichettato come venduti coloro
che per la disperazione si erano arresi.
In
tutto questo, come è cambiata la tua quotidianità e quella della tua famiglia?
Abbiamo passato un anno e mezzo veramente
devastante, pieno di sofferenza, rabbia e frustrazione per non essere riusciti
a fare nulla per la nostra casa e per non avere fatto capire che il passaggio
del Tav creerà danni a tutti. Per noi la lotta No Tav non finiva terminata una
riunione; per mesi si è parlato solo di quello in casa, ogni pranzo e ogni
cena. Con le difficoltà che un nucleo famigliare può avere nell’affrontare la
cosa. Mia sorella Valentina e io vivevamo sole con nostro padre, che, essendo
in pensione e avendo due figlie disoccupate, aveva deciso di proteggerci
accettando l’esproprio. Ma Valentina e io volevamo invece lottare con le altre
famiglie.
E
adesso?
Consegnare le chiavi sarà perdere una parte
di questa battaglia, perdere una parte della nostra vita, ma non ci fermerà.
Questo è successo a noi e non deve più accadere. La gente ha il diritto di
essere informata. Pensa che alcune persone di via Toscana avevano comprato casa
da poco e nessuno li aveva avvisati di quello che sarebbe successo. Questo non
è accettabile. Tutti devono capire che dietro a quest’opera si nascondono
corruzione, devastazione dei territori, pericoli per la salute dei cittadini e
le generazioni future.
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