martedì 29 luglio 2014

Ucraina, noi mamme siamo disperate

<<Devo far venire i miei figli qui in Italia, prima che li chiamino alla guerra>>.
La sua voce e il suo sguardo sono più stropicciati dello straccio che tiene in mano e con cui strofina senza sosta ogni angolo della casa.
Hannah, ucraina, ha 62 anni e da 14 vive a Brescia, lavorando come colf. Al mattino in una casa, all'ora di pranzo in un'altra, il pomeriggio negli uffici.
Si sposta a piedi o con l'autobus, anche quando fuori nevica o diluvia. Indossa vestiti di seconda mano, in genere quelli che le regalano le persone per cui lavora. Non butta via nulla: dal goccio di latte che rimane sul fondo della tazza che i ragazzi lasciano a colazione, al boccone di pane del giorno prima, ormai secco.
Non parla un italiano fluente, ma saluta sempre, con una combinazione ossimorica di registri: <<Ciao Signora … >>.
Di solito sorride. Non in questo periodo, però. 
<<Prima hanno portato via tutti nostri soldi. Janucovyc è diventato miliardario mentre noi morivamo di fame. Adesso si prendono anche i nostri uomini. Li chiamano in guerra. Ma come si fa a combattere una guerra con un fucile ogni cento soldati?>>.


Dopo secoli di dominazione russa, il 16 luglio 1990 un nuovo Parlamento adotta la Dichiarazione di sovranità dell'Ucraina, stabilendo principi quali l'autodeterminazione del Paese, la democrazia, la libera economia, l'indipendenza politica e la priorità della legge ucraina rispetto al diritto sovietico su tutto il territorio nazionale.
Una dichiarazione rimasta tuttavia sulla carta. A decretarne l'invalidità pratica i tumultuosi movimenti di protesta. Come la rivoluzione arancione (2004). E la recente Euromaidan, scoppiata lo scorso novembre con le proteste dei giovani pro-Europa, dopo che l'allora Presidente Janucovyc si era rifiutato di firmare un accordo di annessione dell'Ucraina all'Ue, necessario per la sopravvivenza economica del Paese. Guarda caso, in cambio di un compenso russo, concesso da Putin, che avrebbe stretto ulteriormente l'abbraccio soffocante con la Russia. 
Il 22 febbraio 2014 la fuga di Janucovyc e dei suoi bracci destri dalla capitale Kiev e la sua deposizione dalla carica di Presidente della Repubblica Ucraina.
Fosse finita, però. Nemmeno un mese dopo (11 marzo) la regione meridionale della Crimea, insieme alla città autonoma di Sebastopoli, dichiara l'indipendenza dall'Ucraina e la successiva annessione alla Russia. E via via riprende corpo il fuoco degli scontri, che trasforma l'inverno est-europeo in una vera e propria guerra civile, con le forze militari di Kiev contrapposte ai ribelli di stampo russofono nelle regioni orientali del Paese. 
Ed è proprio il tira e molla occide-orientale a spingere l'altalena di un conflitto solo apparentemente locale, ma in vero proiezione microscopica dell'atavico scontro tra Stati Uniti e Russia, capitalismo e comunismo, coca cola e vodka. 
Ha senso, nel terzo millennio, parlare ancora di guerra fredda? Probabilmente no. Non quando in campo non ci sono più i giocattoli nucleari (reali o presunti) con cui due super potenze si minacciano a vicenda. Ci sono invece uomini, ragazzi, che muoiono. E madri, come Hannah, che si disperano ma restano impotenti. 
La storia si ripete uguale in diverse parti del globo. Giusto per fare due altri esempi noti: Libia e striscia di Gaza. Cambia solo il contesto dei Paesi, teatri di uno scontro internazionale condensato in un conflitto locale, surgelato dalla distanza e impacchettato in forma tascabile dai media. Sembra una partita a scacchi: due contendenti maneggiano tante sagome. E le strapazzano, si agitano, senza toccarsi. Tanto le pedine sono di plastica, non hanno un volto, non hanno un nome. Ma pur sempre di guerra si tratta. E di morte.


Con l'Ucraina cambia un tassello. Che di mezzo, letteralmente e fisicamente, c'è L'Europa. Anzi, l'Unione Europea. Il 27 giugno 2014 il neo Presidente ucraino Petro Poroshenko ha firmato a Bruxelles un accordo di associazione tra Ucraina e Ue. Potrebbe essere la scialuppa di salvataggio per i figli di Hannah, i suoi nipoti e vicini di casa. Per tutti quelli che aspettano una lettera che li convochi a morire.
Potrebbe, ma non finché il dialogo tra i leader dell'Unione sarà incentrato solo sulle nomine e sulle frecciatine patriottiche.
<<Noi mamme siamo disperate>>, conclude Hannah. Prende lo straccio e ricomincia a pulire.


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