venerdì 28 febbraio 2014

Due video interessanti

La prima è una proposta editoriale, un prodotto offerto dal Fatto Quotidiano per aiutare il cittadino a fare chiarezza sulle mille promesse del nuovo Governo presieduto da Matteo Renzi. Marcello Longo è uno dei giornalisti che appaiono nel video. Ho studiato insieme a lui per un po' alla scuola di giornalismo IULM e mi piace come lavora.
Il Fatto Quotidiano

La seconda chicca di oggi è un fotoreportage realizzato dal mio caro collega d'inchiesta Matteo Colombo e pubblicato dall'Eco di Bergamo. Si parla di Crespi d'Adda, borgo industriale unico al mondo per la sua organizzazione autoctona e per la filosofia ispirata al socialismo utopistico di Robert Owen, Charles Fourier e Henri de Saint-Simon e al paternalismo padronale che spopolava in Europa nella seconda metà dell'Ottocento. Patrimonio dell'Unesco, Crespi non è però stata tanto ridente, almeno fino a qualche tempo fa, quando si è deciso di risollevare il villaggio, ormai in fase di decadimento dopo la chiusura degli stabilimenti, e di riaprire le fabbriche destinandole a nuova produzione. Ma sentiamo Matteo.
Eco di Bergamo

Tutti sono uguali davanti a Trenitalia, ma qualche pendolare lo è un po' meno

SPOILER. Vi siete imbattuti in uno di quei post lamentosi e indignati, che fanno terminare la lettura di pessimo umore. Quindi, se volete mantenere l'ottimismo profuso dal venerdì, passate oltre, prego.



Dieci minuti di ritardo sul tabellone elettronico sono la norma. Cinque generano quasi sollievo. Se non ce ne sono ti chiedi se non stai ancora sognando (perché la sveglia prima delle 7 del mattino, d'inverno, non è esattamente una carezza e voltarsi dall'altra parte un gesto piuttosto comprensibile). Dai venti in su inizi a sbuffare sonoramente, ma poi smetti, perché già fa freddo e non è il caso di buttarsi aria in faccia.
Mentre aspetti il tuo treno fantastichi su future soluzioni di teletrasporto. E poi, alla fine, eccolo arrivare. Cerchi di salire, ma devi essere aggressivo, altrimenti farai tutto il viaggio in piedi, tipo carro-bestiame. E il lunedì mattina e il venerdì sera il massimo a cui puoi aspirare è di trovare un angolino in cui accovacciarti o appoggiarti, perché i posti a sedere sono rigorosamente occupati da chi ha il biglietto con prenotazione.
Circa 2-3 ore della giornata sono date in pegno al viaggio, che non si può definire della speranza, perché se ci fosse da sperare in quello potremmo stare freschi. No, all'ingresso della stazione dovrebbero campeggiare le stesse parole del terzo canto dell'Inferno dantesco, dove sulla porta dell'Ade c'è scritto: <<Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate>>.

Ma siamo solo alla - dovuta - premessa. Mamma, o meglio matrigna, Trenitalia anche quest'anno ha deciso di dare un contentino ai suoi abbonati. Un bonus che va dal 20 al 50% di rimborso sul rinnovo dell'abbonamento mensile, in base alle tratte effettuate e ai disagi che si sono riscontrati su di esse. Bene, viene da dire, giustizia è fatta per i pendolari. Ma…c'è sempre un ma. Lo sconto, s'intende, non vale per tutti. Eh no: chi è in possesso della carta "Io viaggio", gioiellino di oro matto che ti permette di accedere a tutti i mezzi di superficie della regione o della provincia (ovviamente non gratis, ma in cambio di una lauta quota mensile/trimestrale/annuale), non avrà il rimborso.
E perché mai? Chiedo, indispettita, al bigliettaio. Semplice: voi potete andare su tutti i mezzi di trasporto, non solo sui treni.
Aaaah. Adesso è tutto chiaro. Perché gli autobus, il metrò e compagnia bella non li paghiamo, giusto? E se il treno è in ritardo noi abbiamo il jet (pubblico) che funge da mezzo sostitutivo.
Purtroppo la realtà è un'altra. I ritardi, le cattive condizioni igieniche e il sovraffollamento delle carrozze lo scontano anche i titolari della carta "Io viaggio", con la differenza che questi pagano una quota più elevata di abbonamento e rimpinguano così i portafogli bucati di Trenitalia.



Dopo questa lieta notizia, sarà ancora più amaro guardare quel tabellone, con le cifre che si moltiplicano di minuto in minuto. O alzarsi dalla poltrona perché un tizio che prende il treno una tantum ha il posto prenotato. O pagare un caffè 1.50€ sul Freccia Bianca. O non abitare nella città dove si studia e lavora.
Perché c'è un dettaglio che in molti tendono a dimenticare: i tragitti dei pendolari non sono allegre scampagnate o gite di piacere. Ma: Trenitalia wishes you a pleasant journey. Trenitalia vi augura buon viaggio.

giovedì 27 febbraio 2014

Aspettando le europee


Fra tre mesi voteremo i deputati del Parlamento europeo. La scena è quella di una riunione condominiale: tutti litigano, tutti accusano, nessuno vuole pagare. La prospettiva più lunga a cui guarda chi annaspa tra il mutuo, le bollette e la cassa integrazione è fine del mese. Accade in Italia come in tanti altri Paesi dell’Unione: nazionalismo e spinte antieuropeistiche sono armi acuminate nelle mani di governi troppo deboli per ammettere le loro responsabilità. Si cerca innanzitutto un nemico, un capro espiatorio che mascheri verità indigeste. Ecco quindi la demonizzazione dell’Ue e di tutto ciò che essa rappresenta: Bruxelles, l’euro, le politiche di stabilizzazione monetaria, l’uomo nero José Manuel Barroso e la signorina Rottenmeier Angela Merkel. Della realtà comunitaria è questo che conosce la maggior parte degli italiani: più del 90% ignora i meccanismi di funzionamento e la struttura delle istituzioni europee. Se così non fosse, i politici nostrani farebbero fatica a sostenere la parte degli offesi. Si saprebbe, per esempio, che quasi sempre le decisioni comunitarie vengono prese all’unanimità, quindi anche con il benestare dei rappresentanti italiani. Che se le tasse aumentano è per coprire un debito di 2.075 miliardi, dato che tagli significativi alla spesa pubblica scontenterebbero fette troppo ampie di elettorato. E che se i Paesi più poveri d’Europa hanno ancora una moneta nazionale, forse il ritorno alla lira non è la panacea dei mali italiani. Mura di diffidenza tra “noi” e “loro”, velleità autoctone: non c’è da essere ottimisti. Tuttavia, andrà a votare solo chi ha una coscienza civica, non ci resta quindi che sperare in essa.


Prendo la borsa e vado al Nord

Continuano a essere tanti, anche se per motivi e con modalità differenti rispetto al passato, i giovani che si trasferiscono nelle città del centro e del nord Italia dalle isole e dal meridione. Andrea Cumbo e io abbiamo cercato di fare chiarezza sulla questione. Ebbene. Secondo quanto è emerso scartabellando archivi digitali, stressando segretarie più o meno disponibili al telefono e confrontando dati, queste migrazioni non hanno alcuna convenienza economica per gli studenti del Sud. Anche ammesso che i voti siano generalmente più elevati nelle scuole del meridione e che lì il livello di reddito sia inferiore, sia le borse di studio che l'accesso alle facoltà universitarie a numero chiuso rispondono ormai a criteri ben definiti, per cui è difficile imboccare scorciatoie. Per esempio, le borse di studio sono correlate al costo della vita nella città in cui vengono erogate e tengono in considerazione l'indice di reddito ISEE, con controlli sempre più stringenti anche per quanto riguarda  il collocamento in una fascia di reddito piuttosto che in un'altra. E' facile dedurre quindi che la sostanza non cambi molto da una punta all'altra della Penisola.


Ma c'è di più. Secondo i dati raccolti dal Movimento consumatori, Palermo è la città meno costosa per gli studenti; seguono Napoli, Roma e Perugia, mentre Milano, Venezia e Padova hanno gli affitti e le tasse universitarie più alti. Tuttavia proprio il capoluogo lombardo e Torino sono le mete più quotate, davanti a Genova, Parma, Padova e Venezia. Le tasse saranno infatti anche proporzionate al reddito della popolazione locale, ma a incidere sulla retta è soprattutto la fama dell’ateneo, tanto che le università più care sono anche quelle considerate più prestigiose.

I dati parlano chiaro. Secondo il rapporto 2013-2014 della Federconsumatori, lo studente che sceglie la Lombardia paga in media 1402,64 euro, contro i 1294,104 euro del Veneto e i 1094,386 del Piemonte. Se la regione meno costosa è la Puglia (861,968 euro), sorprendono Emilia Romagna e Toscana, che chiedono rispettivamente 906,63 e 919,474 euro, meno di Lazio (1089,01 euro), Campania (1008,99 euro) e Sicilia (1092,48 euro). Restringendo il campo ai singoli atenei, le dieci università più care d’Italia sono tutte nel settentrione, con in testa il Politecnico (1627 euro annuali in media) e la Statale (1467 euro) di Milano. Al contrario le più economiche sono l’Aldo Moro di Bari (516 euro in media all’anno) e la Statale di Sassari (528 euro all’anno).
Anche per quanto riguarda l'accesso ai corsi di laurea, se un tempo si poteva fare un pensierino alla convenienza, adesso le cose sono cambiate. Con il decreto del ventesimo percentile, istituito dall'ex ministro dell'istruzione Maria Chiara Carrozza, per accedere ai punti di bonus necessari a scalare la graduatoria delle facoltà a numero chiuso, il voto dell'esame di maturità non conterà più in termini assoluti, ma relativamente agli istituti scolastici di appartenenza. Che, detto in soldoni, significa: se ho preso 100 con lode, ma l'ha preso anche metà della mia scuola, sono meno brillante di chi è uscito con 90 in un istituto dove la media generale è di 70. Capito? Per essere ritenuti davvero eccellenti, e quindi meritare i punti di bonus massimi, gli studenti devono rientrare nel 20% migliore della loro scuola di secondo grado. Questo per porre rimedio a disparità innegabili. Secondo i dati Miur relativi al 2013, infatti, tra Nord e Sud ci sono 10-12 punti di differenza nel confronto tra i migliori della scuola: la media più brillante a Milano è di 86.5, contro il 96.5 di Catanzaro.
Nonostante studiare al Nord costi il 28% in più rispetto al Sud, l’esodo non si arresta. Le ragioni sono da ricercare nella complessa situazione economica del Paese e nella forbice che ancora separa le regioni settentrionali da quelle meridionali. Rispetto ai decenni precedenti è aumentato il numero dei laureati in Italia, motivo per cui non basta solo una laurea, ma bisogna averne una di valore. Ecco perché gli studenti del Sud scelgono il prestigio e le maggiori possibilità di lavoro offerte dagli atenei del Nord. La situazione lavorativa dal Lazio in giù è molto più difficile sia da un punto di vista occupazionale che retributivo. Secondo una ricerca di Almalaurea, nel 2012 il differenziale di disoccupazione tra Sud e Nord era di 17,8 punti percentuali, con una crescita decisamente più elevata nel Mezzogiorno (+4%) rispetto al Settentrione (poco più dell’1%). Al contrario la quota di occupazione dei giovani laureati lo scorso anno al Nord era del 51%, mentre al Sud sfiorava appena il 36%.
Sono quindi soprattutto i residenti al Sud a spostarsi in cerca di lavoro e per motivi di studio (39,5%): al Nord si trova un impiego più facilmente e si guadagna  meglio: la retribuzione è superiore del 16,4%, percentuale raddoppiata rispetto al 2008. Gli occupati con laurea di primo livello guadagnano infatti in media 1.001 euro al mese, contro gli 844 euro dei colleghi del Sud (+13%).
Davanti a questo panorama non stupiscono i dati relativi alle borse di mobilità emesse dal Ministero dell’Istruzione con il Decreto del Fare dello scorso 21 giugno. 899 borse da 5.000 euro per i meglio diplomati che hanno scelto di frequentare l’università (statale, privata, purché non telematica) fuori dalle regioni di residenza. 8 borse su 10 (in tutto 715) sono andate a maturati del Sud. Solo il 9% al Nord. Il ventesimo percentile livella le disparità tra le due Italie per quanto riguarda l’accesso ai corsi con test d’ingresso vincolante, ma non colma il dislivello sui sussidi allo studio, visto che sette richieste su dieci provengono dal Sud. Prima di gridare, come piace tanto fare in questi casi, allo scandalo e all'ingiustizia, vale però la pena osservare il fenomeno sotto un'ottica diversa. Allora, facciamo alcune considerazioni.
Primo. Chi ha la possibilità di trasferirsi al Nord per studiare non proviene certo da una famiglia che fatica ad arrivare a fine mese. In quel caso, il ragazzo o la ragazza non avrebbe proseguito gli studi nemmeno nella sua città di residenza, sarebbe andato direttamente a lavorare.
Secondo. Gli atenei del Nord Italia con il numero maggiore di studenti fuori regione sono quelli più di prestigio, spesso privati  o comunque di fama nazionale. In parole povere: la Statale posso farla a Bari come a Milano, la Bocconi o il Politecnico no.
Dunque la conclusione potrebbe essere un po' più rosea del previsto: in fondo non siamo solo un popolo di fannulloni in cerca di scappatoie. Se non siamo noi i primi a smentire queste leggende, non saranno certo gli altri a farlo al posto nostro. La verità è che i giovani di oggi cercano di costruirsi un futuro, raccolgono quello che possono come possono. Si spera nel migliore dei modi. Ma non basta più una semplice laurea, ci vogliono agganci con il mondo del lavoro, opportunità di inserimento nelle aziende e nelle realtà istituzionali. Panorama, questo, che purtroppo, per ora, trova una maggiore concretezza al Nord rispetto che al Sud.
Se siete però tanto affezionati alla nota negativa, vi do un altro, stavolta valido, motivo per lamentarvi.

C’è un dato che unifica il Paese: anche nel 2013, per il quarto anno consecutivo, le rette universitarie sono aumentate, con un incremento del 3% rispetto al 2012. Da Milano a Palermo.

Lasciate però che queste cose ve le spieghi una voce autorevole. Andrea Cumbo e io abbiamo parlato con l'ex Ministro dell'Istruzione Francesco Profumo. Questo quanto ci ha detto.