sabato 28 marzo 2015

Sullo schermo gli orsi di Buzzati

La famosa invasione degli Orsi in Sicilia è una storia per bambini scritta nel 1945 da Dino Buzzati per il Corriere dei piccoli, la prima rivista italiana per l'infanzia che per oltre novant'anni è stata punto di riferimento per i figli della borghesia nostrana. Ma nei prossimi anni - si spera nel 2018 - la fantasia astrattista di Buzzati sarà anche un film d'animazione in 3 D. L'idea è di Lorenzo Mattotti, fumettista e illustratore bresciano oggi residente e amatissimo in Francia.

Dopo aver affiancato Enzo D'alò in Pinocchio, Mattotti renderà vivi gli orsi che scendono dalle montagne e invadono la Sicilia per cercare il figlio rapito del loro re Leonzio. L'autore de Il deserto dei tartari aveva inventato questa fiaba per intrattenere le nipoti, e il racconto, oltre che sul Corrierino, fu poi pubblicato in un libro. Dopo averla letta in gioventù e ritrovata recentemente, il cartoonist ormai italo-francese si è sentito in dovere di rendere omaggio al suo autore preferito.

Pur essendo una storia vecchia settant'anni, La famosa invasione degli orsi racchiude temi più che mai attuali: il distacco dalla terra d'origine e la migrazione, il rapporto padre-figlio e l'ecologia. Ricorda Mattotti in una recente intervista al Corriere della sera che "gli orsi non temono i fantasmi, i mostri e i castelli stregati; grazie alla dolcezza e all'ingenuità di cui sono portatori riescono a superare le trappole ordite dagli uomini e a sconfiggerli, salvo poi cedere alla tentazione di prendere i loro stessi vizi".

La fiaba di Buzzati è moderna perché i suoi personaggi non sono figurine idealizzate, ma soggetti a tutto tondo, fatti di pregi e difetti, spalmati lungo un continuum tra il male e il bene, senza mai toccarne gli estremi. Inoltre, nonostante la sceneggiatura sia estratta dalla penna di uno dei più eccelsi intellettuali italiani, il cartone in 3 D manterrà il carattere popolare della fiaba, grazie alle illustrazioni di Mattotti, che ne faranno un film spettacolare, non una storia intima, popolato da mostri, fantasmi, cinghiali che diventano mongolfiere, gatti giganti e feroci, serpentoni che escono dal mare...


Nel '45 l'invasione in terra sicula poteva essere una strizzata d'occhio alla storia recente, un riferimento più o meno esplicito allo sbarco in Sicilia degli americani, ma anche, al contrario, alle dipartite dei nostri nonni verso Germania e Stati Uniti. Oggi la si può rileggere alla luce di un'Italia, anzi di un'Europa, che si interroga sul processo di integrazione e sulle politiche migratorie.

martedì 24 marzo 2015

Storie di gelati e di gelatai

Anche quest'anno siamo arrivati al giro di boa. E' la giornata europea del gelato. Ovviamente non ho mai smesso di mangiarlo, anche quando la gente mi guardava attonita. E' dicembre: come fai ad avere voglia di gelato? Per lo stesso motivo che spinge molte persone a prendere cappuccio e brioche anche a luglio. O a fare la grigliata di carne a ferragosto. 
Così a Natale ho mangiato il panettone sì, ma con il gelato. 
A gennaio mi sono consolata nei lunghi pomeriggi di studio...con il gelato.
A febbraio ho festeggiato San Valentino (io e l'amore verso me stessa, il mondo, la vita)...con il gelato.

A undici anni, quando non volevo mangiare, per convincermi a farlo la mamma mi prometteva un cornetto Algida o un Sansonì dopo cena. E la tattica ha sempre funzionato.

Se volete una summa sull'argomento, andate a vedere il post di un anno fa. Oggi più che di gelato in senso tecnico e materiale, vi parlerò dei gelatai. Perché quando entro in una gelateria inevitabilmente li osservo, ci scambio due parole, mi faccio gli affari loro. Negli ultimi dodici mesi ho scoperto nuove botteghe e ne ho confermate di vecchie. Si tratta, non c'è bisogno che lo sottolinei, di opinioni estremamente parziali e soggettive.

Al primo posto c'è ancora l'Imperiale. Non so quanti chili di mascarpone e bacio mi sono fatta fuori negli ultimi anni. In ogni caso, stanca non sono. Ormai quando entro le commesse, prima ancora che apra bocca, prendono in mano una cialda e iniziano a fare una palla-valanga di mascarpone. Poi mi chiedono: sopra mettiamo il bacio come al solito? Perché sanno che il secondo gusto è più volatile: potrei anche scegliere fragola, pistacchio o fico. Ma la maggior parte delle volte bacio è.
Paola è la mia preferita. Ha una voce proprio dolce. Si informa dei miei studi, di come sta mia sorella, mi chiede che cosa abbiamo deciso di fare alla fine per l'anniversario di nozze dei nonni.
Rudy fa il gelato. Fino a novembre c'era anche Lucio, il suo fedelissimo braccio destro. Se l'è portato via un brutto male, ma la sua fotografia resta dietro il bancone a guardarmi mentre divoro soddisfatta il mio cono.
Ci ho portato anche una delle due mie migliori amiche, Aglaia. E' un'intenditrice quanto me. Esperta in pistacchio. E ha decisamente approvato, anche se pure lei ha dovuto soccombere alla dipendenza da mascarpone.

Una nuova scoperta è Prima o poi, in via Veneto. Lì fanno tre gusti impareggiabili: salame al cioccolato, regina Elisabetta (che è crema, variegato al cioccolato e biscotto) e cremino (praticamente nutella bicolor congelata). 
La gelateria c'è da una vita, ma dall'autunno scorso ha cambiato gestione. E meno male! Un tempo ci entravo di rado perché la proprietaria mi stava antipatica. Anche se, parlando con la nuova titolare, ho scoperto che la ex è una di quelle persone che si amano o si odiano: taluni clienti la pensano come me, altri la adorano.
Da Prima o poi lo spazio non è molto ampio. Ci sono due panchine all'esterno, ma, visto che mangio il gelato anche d'inverno, spesso rimango nel negozio, in piedi, a leccare il mio cono e a interrogare la giovane dietro il bancone. E' un'attività di famiglia, mi ha raccontato. Non nel senso che l'hanno ereditata, ma perché sono in tanti e collaborano tutti. Lei e il marito servono coni e coppette, il suocero pulisce il negozio e va a fare la spesa, la mamma fa l'assaggiatrice e sperimenta nuovi gusti, il fratello minore, una volta terminata la scuola, va a dare una mano in negozio.
Un pomeriggio lì ho incontrato un vecchio amico di mio padre e ho scoperto che è il nonno di Prima o poi. Era appena andato dal fruttivendolo a prendere le mele e le banane per fare un nuovo tipo di gelato.



Vecchia e nuova è Pinko. Vecchia perché c'è da quando ero piccina. Allora si chiamava Pinko
Pallino e si trovava all'interno del centro commerciale Margherita D'Este. Mi ci portava sempre la zia e io mi ostinavo a prendere i gusti più improbabili: puffo e big bouble. In realtà, se ci fossero ancora li prenderei anche adesso. E non per una questione di palatabilità, ma perché il gusto è spesso soppiantato dalla poesia dei ricordi.
Comunque adesso Pinko è in centro, vicino alla Coin (via Mazzini). E ora i miei gusti preferiti sono cheese cake e yogurt con fichi caramellati. Il proprietario è una persona squisita. Nonostante la sua gelateria non abbia certo bisogno di pubblicità, non si tira indietro nel contribuire a iniziative ludico-culturali. La scorsa estate avevo organizzato una serata Made in Italy in un locale. E volevo a tutti i costi che ci fosse il gelato. Gli ho chiesto aiuto e lui ha fatto di tutto per venire incontro alle esigenze mie e dei gestori del bar. Ha portato splendidi pinguini (non quelli di Madagascar): al pistacchio ricoperti di cioccolato bianco, all'amarena o al mango con giacca fondente, al fior di latte rivestiti di cioccolato alla nocciola. Un vero successo.

Nelle mie scorribande al centro commerciale Le Rondinelle ho ritestato La Casa del gelato. E sono rimasta a dir poco estasiata dal gusto Kinder Paradiso. Devo dire, però, che lo spazio è sacrificato e il collocamento all'interno del grande magazzino rende il momento gelato un tantino ansiogeno. Bambini che spingono, mamme che gridano loro di star buoni, bambini che piangono, padri che pregano in cuor loro di concludere al più presto la via crucis dello shopping. Sarebbe molto più carino se si trovasse in un parco. Vista la confusione, non ho mai avuto modo di scambiare qualche parola in più con le signorine che impalettano gelati a raffica. Ma ricordo che in quella gelateria ci lavorava, tanto tempo fa, Flora, una ragazza che mi controllava mentre facevo i compiti estivi quando ero alle elementari. Né io né mia sorella, in realtà, avevamo bisogno di aiuto per i compiti. Semmai di qualcuno che verificasse che non ce li spartissimo a nostro piacimento: a Rosa tutte le materie scientifiche, a me quelle umanistiche. Dato che eravamo nella stessa classe, copiare era piuttosto facile e i libri per le vacanze finivano già prima di luglio. Flora ci prometteva che, se avessimo fatto ciascuna i suoi, poi ci avrebbe portate alla Casa del Gelato.

A Milano il top è La gelateria della musica. Più o meno ogni gusto ha il nome di un cantante o di una canzone. Il gelato è qualcosa di spettacolare. Diciamo un Imperiale milanese. Fuori dal negozio, d'estate, c'è sempre la fila. Ma a ragione. Il mio preferito è il gusto pane e nutella, con l'immancabile pistacchio salato. Ma davvero c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Anche in questo caso i gelatai non li conosco direttamente. Ma Aglaia sì. Lei, che come vi avevo accennato è mia degna sodale, ha fatto periodi in cui si recava alla Gelateria della musica almeno tre volte al giorno. Tanto che i ragazzi dietro al banco sorridono con gli occhi quando la vedono arrivare. Io l'ho scoperta con i miei compagni di università, perché è proprio
vicino allo Iulm. Cioè, non tanto vicino, ma abbastanza per prendersi due ore di stacco dalla redazione, fare una passeggiata e arrivare fino in fondo ai Navigli. Adesso, ogni volta che sono a Milano, non perdo occasione. Addirittura sono riuscita a incastrare un gelato anche tra un'intervista e l'altra. Camminando trafelata con il cono in una mano e la telecamera nell'altra. Non mi fa molto onore, lo so. Ma se l'uomo è fatto di carne, la donna è fatta di zucchero.


Tornando in terre bresciane, vicino alla redazione del giornale di Brescia c'è Ribera. Il cui gelato non è male, anche se decisamente caro. Buoni il caffè e il cioccolato all'arancia. Il problema è il proprietario. Taccagno, almeno per la mia personale esperienza, come pochi. Quando gli proposi di aiutarmi per quella faccenda del Made in Italy, pur con la prospettiva di avere una campagna pubblicitaria e un piano di comunicazione ad hoc (in cambio poi di qualche vaschetta di gelato), mi guardò come se fossi Bin Laden resuscitato dall'aldilà. Mi disse che avrebbe accettato solo se gli avessi pagato il gelato. Non se ne parla, risposi, l'intento è creare una sinergia tra ristoratori per darsi reciproca visibilità. Nessuno viene pagato. Nemmeno io che vado in giro a metterci la faccia (e a essere guardata come Bin Laden). Il caffè, comunque, dovrebbe essere più corposo.

La Romana si conferma buona, ma senza fare il salto che la faccia entrare nel mio cuore. Le commesse sono gentilissime. Ho provato anche i crumbles e meritano. Ma c'è qualcosa in quell'ambiente che non riesce a convincermi. Mi mette angoscia. Forse perché lo collego a serate un po' sofferte, a chiacchiere sconsolate di amori infelici.

A Riva Reno, dopo la pessima esperienza della scorsa annata, ho offerto un'altra possibilità. E diciamo che si è un tantino riscattato. Anche se la cialda non crocchia molto. Però ha dalla sua il fatto di essere in Piazza della Loggia. Di concedermi uno sguardo all'orologio, uno scherzetto ai piccioni e il sentirmi cittadina tra i turisti tedeschi.

Settimo gelo è una new entry di quest'anno. Ha un sacco di gusti: da crema catalana a yogurt greco con anacardi e canditi, passando per le varie fantasie di cioccolato e frutta. Le commesse però sono un po' spocchiose. Quando ho chiesto loro se avessero le cialde, mi hanno indicato i biscottini con aria spazientita. Non si può avere tutto, d'altronde.

Infine vi segnalo un'iniziativa, giusto per concludere con una buona notizia. Se siete fortunati e avete una gelateria Ben & Jerry's vicino a casa, appuntatevi questa data: 14 aprile 2015. Sarà il free cone day, e dalle 12 alle 20 verrà offerto un cono o una coppetta a piacere. Un regalo dedicato a tutti gli amanti del gelato, quelli per cui scegliere tra crema o vaniglia, tra bacio e nocciola, tra fragola o lampone, è un atto che va preceduto da attento problem solving.


domenica 15 marzo 2015

Con Giulia, non come Giulia

UEra una mattina come tante, esattamente quattro anni fa, per Stefano Tavilla. Ma da quella mattina del 15 marzo 2011 niente sarebbe stato più come prima. Sua figlia Giulia non aveva risposto al richiamo, né suo né della sveglia.
Morta nel sonno. Per un arresto cardiaco. A diciassette anni.
Era bellissima Giulia.
Forse apparentemente lo era troppo. Per sembrare malata.
E invece lo sapevano bene quelle quattro mura del bagno in cui si rinchiudeva dopo ogni pasto quanto quella ragazzina stesse male.
E se n'era reso conto anche Stefano, suo padre. Tanto da averla convinta a farsi curare. A dire basta alla bulimia. Ma dire basta a un disturbo dell'alimentazione non è come andare al pronto soccorso e farsi strappare repentinamente dal braccio della morte.
Ci sono visite da fare, liste d'attesa da rispettare, tempi che troppo spesso non sono conciliabili con la vita. Perché la vita non aspetta, o almeno non l'ha fatto quella di Giulia, che stava attendendo il suo turno per entrare in una struttura riabilitativa.

Di disturbi alimentari avevo già parlato, un anno fa. E le parole sarebbero le stesse.
Oggi vi lascio il racconto di Stefano.
Giulia che alla fine aveva alzato gli occhi e sì, voleva farsi aiutare. Giulia che in queste
foto è bella da togliere il fiato, e però non c'è più. Giulia che è morta a 17 anni perché l'avevano messa in lista d'attesa, perché a Genova e in Italia non ci sono posti dove curare - in tempi umani - chi ha una dipendenza diversa dalla droga, dove la prima persona che aveva aperto una breccia nel disagio rischia di sparire per un contratto scaduto. Per un contratto scaduto. «Ho deciso di raccontare tutto. Ci sono centinaia di ragazze in quelle condizioni, famiglie devastate dalla spirale che innescano certi disturbi alimentari. Sapete che l'avevano definita una paziente non in pericolo?» Stefano Tavilla è un uomo di 46 anni che ha deciso di vivere in apnea, e metterci la faccia e dire com'è andata la tragedia di sua figlia, studentessa del liceo D'Oria morta nel sonno, una settimana fa, straziata dall'aritmia cardiaca conseguenza della bulimia che l'affliggeva da tempo. Eccola, la vera storia «che deve salvare altri ragazzi, che deve fare entrare la discussione approfondita su questi temi nelle scuole e ovunque». Genovese, 17 anni, Giulia era in lista d'attesa. Nessuna richiesta di risarcimento. «Ci hanno detto che il suo caso farà statistica, ok. Ma non è stata solo fatalità. E non voglio colpevolizzare, soltanto mettere a nudo le voragini spaventose che segnano il percorso di chi cerca di uscirne». Giulia che a 12 anni e mezzo con il cibo e l'alimentazione entra in conflitto, che mangia e vomita e cambiano i battiti del cuore e le forze cedono e i valori del sangue sono sballati. «L'unico sostegno, fino ai quattordici anni, è rappresentato dal Gaslini. Dove si può contare su una consulenza medica, ma non psicologica. É un aiuto importante, non può bastare». Il supporto fondamentale è quello d'uno psicoterapeuta, Stefano stringe gli occhi: «Lei non voleva, non accettava, non c'era verso. E bisogna provarci e provarci, ma senza forzare. E in casa è un inferno, sta male e il volto cambia, il sorriso si spegne». Giulia che compie quattordici anni e non può essere più una paziente del Gaslini, ma ha diritto all'assistenza del Centro disturbi alimentari dell'Asl 3, a Quarto. «Poteva rapportarsi con un dietologo e uno psicologo. Un po' meglio, certo, ma fanno quel che si può». Quattrocento persone da assistere, forze ridotte, difficilissimo convincerla e dopo un anno si ferma ancora. «Quella strada non funzionava, lei s'era chiusa, completamente. E ha smesso di frequentare il centro, ci siamo affidati a un nostro psicologo, pagato da noi. Ed era quasi impossibile trovare una struttura che ci dicesse cosa fare». Ci sarebbe, in realtà, il centro specializzato al Santa Corona di Pietra Ligure. Ma Giulia che è morta, per quei disturbi, non ci poteva entrare in quanto il suo peso non era "allarmante"». Stefano arretra un secondo d'istinto, ora, s'accascia sulla sedia, la mano tesa verso Filippo che oggi l'ha accompagnato ed era il migliore amico di Giulia: «Ci sono ragazze che giocano a fare le anoressiche, che vedono alla tv coetanee alte un metro e ottanta con la taglia 38. E tutto contro natura, ma chi glielo dice quant'è devastante? Chi ce lo viene a spiegare in modo approfondito in classe? Io conoscevo Giulia, si confidava con me, sembrava forte ma aveva molte fragilità. Era sensibile, molto». Nell'estate 2010 lei e i suoi familiari che ci riprovano: «E tornata a Quarto - spiega ora il padre -. Supporto medico (prescrizione di esami e d'una dieta poi "a carico" dei genitori) ma soprattutto psicologico». Potrebbe essere la svolta, Stefano s'illumina un secondo: «Quella psicologa era riuscita ad aprire qualcosa, in lei, in casa si respirava un'aria diversa». Due mesi. «Il contratto della dottoressa è scaduto, non lo potevano rinnovare». Panico. «Abbiamo deciso di continuare il trattamento noi, di pagarla con i nostri soldi. Fortunatamente avevamo disponibilità, ma in quale dramma saranno precipitate le famiglie che non potevano permetterselo?». Gennaio, Giulia lo dice per la prima volta, vuole curarsi. E riunione d'urgenza alla Asl: «Ci hanno prospettato tre soluzioni, tre cliniche private che potevano rappresentare la sua salvezza: Vicenza, Riva del Garda e Parma». La scelta cade su Vicenza: «Quaranta giorni di telefonate, prima di avere un appuntamento. E una struttura convenzionata, diciotto posti, trattamenti di tre mesi. E poi finché non si libera un letto sei appeso a un filo». In lista d'attesa, sì. Otto marzo, colloquio in Veneto perché volevano essere certi che Giulia avesse scelto da sola, senza imposizioni. Ok. Ma il suo fisico adesso vacilla, troppo. Gli esami dell'ultimo mese hanno certificato carenze di sali minerali croniche, aritmia cardiaca. «Ci avevano prescritto il Polase, come cura. Lo danno agli sportivi, e lei, magari, lo prendeva ma poi lo vomitava». A Pietra Ligure non può andare perché non la considerano «a rischio», per Vicenza aspettano, nessuna alternativa. Giulia che la notte del 15 marzo s'addormenta, e non si sveglia più. E Stefano fa no con la testa: «Perché c'è così poco cui aggrapparsi, in una situazione del genere? Chi sa come realmente si ripercuote sulla vita d'una famiglia? Servono le scuole, le Asl, la chiesa, servono più comunità specializzate. Io ci sono, cercatemi: non deve capitare ad altri».
E da parte mia un invito, per chi può, a partecipare a una delle tantissime iniziative che sono state organizzate per questa giornata nazionale dei fiocchetti lilla. Una giornata per ricordare Giulia e per far sì che la sua storia non si ripeta.


Io sarò presente a Brescia, al Red App di via Moretto 55, a partire dalle 18 di stasera.
Aperitivo in lilla

mercoledì 11 marzo 2015

Chi comanda è cattivo

Non sembra più lo stesso. Nemmeno Santoro e Travaglio si divertono a dargli contro. L'ex premier Silvio Berlusconi è passato dall'essere incarnazione terrestre del male al suscitare quasi compassione. La pelle perfettamente levigata non riesce a coprire il peso degli anni. Non i settantanove registrati all'anagrafe, ma semmai gli ultimi cinque, che ne hanno decretato la discesa politica e personale. 


Adesso c'è molto poco da prendersela con un nonno che ha scontato la pena per frode fiscale facendo compagnia agli anziani malati di alzheimer. E quasi si prova sollievo che sia stato assolto in Cassazione dall'accusa di sfruttamento della prostituzione minorile e concussione. Se proprio si ha da dire qualcosa contro Forza Italia, si fa appello a Renato Brunetta, altrettanto geniale nel calamitare su di sé tutto il mal costume tipicamente associato alla classe politica di centro-destra.
In realtà è molto più gratificante puntare il dito su Matteo Renzi e sulla compagine governativa. Ci sono mille motivi per cui è lecito farlo. Ragioni fondate quanto quelle da cui si muovono critiche contro la Lega Nord e contro il M5s, ma più penetranti, più protagoniste. Perché il potere è come una vetrina in via Montenapoleone: una posizione privilegiata, che però non consente di sbagliare.
Che cosa sarebbe successo se - ipotizziamo in un mondo dove gli elefanti volano e dove le api producono nutella - la sentenza di ieri notte fosse arrivata con il leader degli azzurri al governo? Probabilmente il finimondo. O almeno la fine di quel mondo dove gli elefanti volano e le api producono nutella. Sui quotidiani e in tv saremmo stati invasi dallo scandalo. Sarebbe venuta meno la fiducia in parlamento.


Stiamo parlando di una realtà immaginaria, non lo scordate.
Però la sostanza non cambia: chi governa è cattivo o comunque temibile e quindi guardato con sospetto maggiore rispetto a chi è all'opposizione. Lo dimostra la nostra storia, soprattutto dalla seconda Repubblica in poi. Lo è specialmente in un Paese in cui la veste del leader ha spesso rifiniture populiste e in cui l'opinione pubblica, checché se ne dica, non è mai di massa, ma veicolata da quelle élite intellettual-attiviste che "ancora leggono i giornali". La maggioranza degli italiani non è contro Renzi, così come, cinque anni fa, non era contro Berlusconi. Ma chi sostanzia il flusso informativo si sente sempre in dovere di andare oltre, di scalfire la compattezza del potere. Per fortuna di alcuni e per sfortuna di altri. Non a caso il giornalismo è definito "cane da guardia" della democrazia
Ecco allora perché Grillo era molto più simpatico da comico, prima che fondasse un partito divenuto il secondo in Italia. Ecco perché Maria Elena Boschi ha sottratto lo scettro di ortiche a Mariastella Gelimini (che poi chissà se l'avamposto Maria lo decidono prima o dopo di candidarsi in politica). Anche negli Stati Uniti il secondo mandato di Obama ha avuto molto meno consensi del primo, più o meno per la stessa logica. E, superfluo ma utile ricordarlo, nessuno si sarebbe mai sognato di dare del fascista all'ex sindaco di Firenze quando ancora non serviva il suffisso davanti a tale titolo.

domenica 8 marzo 2015

Lo sai quante volte non pensavo a tuo nonno?

L'otto marzo. Anche quest'anno è arrivato, a unire e a dividere. Uomini e donne, Donne che fanno gli auguri alle altre donne. Donne che non vogliono festeggiare. Donne che escono con le amiche a fare baldoria. Donne che inneggiano al femminismo tradito. Donne che non gliene frega proprio niente. 

Un po' come per San Valentino, ormai gli anticonformisti sono tanti quanti i conformisti: essere contro è di moda. Non c'è più niente di nuovo da dire e da raccontare: anche i media, per par condicio, dedicano eguale spazio alle classifiche sulla libertà femminile nel mondo e alle ricette di torte mimosa.

Se non fosse l'otto marzo non mi perdonerei questa valanga di ripetizioni: donna, donna, donna.
L'unica replica che mi viene in mente è un sincero richiamo alla realtà, che, tanto per cambiare, non è né bianca né nera, né azzurra né rosa. E' fatta di donne forti e fragili, buone e cattive, e di tutte le sfumature intermedie che intervallano i poli. Donne come Raffaella.

Raffaella ha ottant'anni. Si è sposata quando ne aveva diciotto e a ventitré aveva già partorito la terza figlia. Ovviamente non manca di farlo presente ai nipoti, che, alla soglia dei quaranta, non hanno ancora chiaro che cosa faranno da grandi e ribattono ilari: chi te l'ha fatto fare?
Già, chi gliel'ha fatto fare, pensa, di entrare in una famiglia dove non si è mai sentita accettata, con la cognata e la suocera sempre pronte a criticarla. 
Se avessi avuto un po' più di soldi, avrei divorziato, ammette senza incertezze. Eppure il suo comportamento verso il marito non è riconducibile ad altro se non all'amore. Lo si vede mentre si mette alle nove del mattino a preparargli il brodo per la minestra del pranzo. O quando, non vedendolo per dieci minuti, inizia il giro di telefonate a figli e nipoti per chiedere se abbiano visto quel testone di Gianni.
Del passato non ha per niente nostalgia: Vuoi scherzare? Quando ero giovane soffrivo la fame e il freddo. Adesso ho tutto. Certe volte penso a mia madre e le parlo. Le dico che ha da esser contenta, che siamo tutti sistemati noi fratelli. Che abbiamo la luce, il gas, il riscaldamento, le pance piene. E quando mi faccio la doccia calda mi sento una regina.
Raffaella alle otto di sera è a letto, guarda Un posto al sole e, se riesce ad arrivare a fine puntata poi dorme fino alle cinque del mattino. Ma se si sveglia durante la notte, inizia a dire le preghiere per tutto il parentado e per amici e conoscenti. Sua figlia la sgrida: non servono a niente le preghiere dette così, dovrebbe dirle solo se lo sente davvero. La nuora, per esempio, potrebbe anche tralasciarla. 
Eh, si potesse sempre fare quel che ci si sente! Mica è così facile.
E allora mi viene in mente il verso di una canzone di Povia:

Se tutti quanti lo sanno, ma hanno paura che l'amore è un inganno
Oh, ce l'ha fatta mia nonna per cinquant'anni con mio nonno in campagna
...
Oh me l'ha detto mia nonna
Lo sai quante volte non pensavo a tuo nonno?
(Vorrei avere il becco, 2006)


E nel frattempo va a trovare il fratello, che è in casa di riposo. E lo sgrida perché mangia i dolci anche
se ha il diabete. Ma lei fa lo stesso. Anzi, all'ospizio ci va per senso del dovere, ma a un certo punto si stanca. Per questo ha fatto un accordo con i nipoti più piccoli: chiamare la mamma (sua figlia, che l'accompagna) dopo al massimo mezz'ora che sono lì e chiederle di tornare a casa.
Bisogna andare dai bambini, Amelia, dice soddisfatta alla figlia. E si prepara a infornare una torta di mele per i nipoti intervenuti a soccorrerla.
Non ha studiato, Raffaella. E' andata a scuola fino alla quinta elementare. Ma era brava - ci tiene a specificare - e la maestra la premiava sempre regalandole gessetti colorati.
E' brava davvero. Sa fare i conti meglio di tutti. E ha una grafia stupenda.
Ma se volete strapparle un sorriso, ditele che ha una pelle meravigliosa. Che una cinquantenne se la sogna quella pelle. L'hanno capito il cassiere del supermercato, le parrucchiere da cui va a tingersi i capelli di biondo, la badante della signora al piano di sotto.