giovedì 12 maggio 2016

Elogio alla tristezza

Non essere triste, dai!

Ora che me l'hai consigliato non lo sono più.

Stai mentendo.

Hai ragione.



Io alla tristezza ci tengo. Non che mi piaccia, per carità, ma non sarei quella che sono senza le mie parentesi cupe. Come oggi, che piove e mi sono svegliata con il mal di pancia.

Diplomazia. Il segreto è stringere un patto di non belligeranza con la tristezza. Tanto sarebbe lei a vincere se si tentasse di ammazzarla prima che sia arrivata la sua ora. Invece la tristezza cullata poi si addormenta per un po', anche tanto, o il tempo sufficiente a ritrovare il sorriso.

Per uccidere la tristezza serve la disperazione, per cullarla bastano la logica e l'auto ascolto. Come un edificio antisismico: percepisco la scossa, ondeggio, ma non crollo. E i miei pensieri diventano sempre più forti, esattamente come chi abita in un luogo soggetto ai terremoti. I giapponesi, per esempio. Loro sanno come comportarsi: arriva una scossa e via, tutti sotto i tavoli o al riparo dentro le auto, con la stessa calma di chi si sveglia la domenica mattina e non deve lavorare.

Diventa più intensa la consapevolezza che passerà, che non serve agitarsi, che a tutto c'è un rimedio e se non c'è andrà come deve andare. Fatalismo? No. Solo la constatazione che non tutto è incanalabile e  più si cerca di controllare la vita più questa si ribella, complicandosi. 

Eppure Flaubert la pensava diversamente:

Fate attenzione alla tristezza, è un vizio.

Ma la tristezza non può diventare un vizio, quella autentica. Perché prima o poi si addormenta e di certo non punta la sveglia. Il resto si chiama autocommiserazione. O è una patologia depressiva. 

Ora resto un po' a ondeggiare.
Guardando la pioggia.
Con gli occhi spalancati.

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