lunedì 24 novembre 2014

Expo 2015: molto pop, poco clear

Proprio in questi giorni sono giunti a conclusione gli accordi tra Expo 2015 e Orgoglio Brescia. Saranno infatti alcune aziende della Leonessa a realizzare l'Albero della vita, costruzione simbolo dell'esposizione universale che avrà luogo a Milano il prossimo anno. 
L'iter è stato ancora più difficile di un parto, molto più lungo di una gravidanza, sicuramente meno piacevole dell'atto di concepimento. E, tanto per cambiare, la trasparenza non è stata di casa a Expo.


Continue analisi e revisioni, discussioni e fasi decisionali. Ciò che risultava incomprensibile ai più - e che continua a essere un tratto distintivo della società meneghina - è come mai anche quando le si fa un piacere resta perplessa. Come mai sta sempre sul chi va là. E mai un grazie, per l'amor del cielo. Così il fare sbrigativo degli industriali bresciani ha preso il sopravvento: o vi date una mossa o tanti saluti. Questo  il monito di Giancarlo Turati, coordinatore dell'associazione di imprenditori.
Da un lato c'era la spinta di Diana Bracco, commissario del padiglione Italia e del ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina, dall'altro la retrosia di Giuseppe Sala, commissario unico di Expo. La sua paura, a quanto pare, erano e sono i tempi: troppo stretti per poter pensare anche all'Albero della vita, che, per chi non l'avesse capito, dovrebbe essere un po' la Tour Eiffel italiana. Sono ben noti i motivi della lungaggine che ha portato, a circa sei mesi dall'ouverture, lo stato di avanzamento dei lavori che vedete nella fotografia. 

Ma c'è un qualcosa che va oltre le ormai fin troppo note polemiche su mazzette, corruzione e gare d'appalto truccate. Sono le persone. Sì, le persone. Quando ho iniziato la collaborazione con Expo per realizzare video-interviste che testimoniassero la multiculturalità a Milano ero anche abbastanza fiduciosa. Non dico che morissi dalla voglia di smazzarmi due mesi estivi a Molino Dorino, ma l'idea di trattare un tema importante come lo scambio culturale, di incontrare persone che avrebbero potuto stupirmi e di conoscere da vicino quella fiera che per me era un po' un luna park, non mi sembrava male.



Agli accordi iniziali, non erano ancora usciti gli scandali che poi avrebbero macchiato quello che poteva essere un lustro per tutto il Paese e specialmente per il capoluogo lombardo. Eppure, di quelle riunioni che si era detto di fare ogni settimana, di quegli aggiornamenti e quelle direttive che i miei colleghi e io avremmo dovuto avere, nemmeno l'ombra.  La prima volta che abbiamo incontrato la responsabile di social media Expo, che d'ora in poi chiamerò la Signora, nemmeno lei sapeva che cosa farci fare. Avevamo iniziato ad abbozzare idee, ma un lavoro allo stadio germinale non può tradursi in frutti se non si ha il beneplacito della committenza. E così l'affare è rimasto in letargo fino a giugno, una settimana prima che noi, giornalisti in erba, andassimo a turni di 4-5 nella sede di Molino Dorino.


Primo dictat della Signora: sui social non siate troppo spiritosi, purtroppo ora Expo non può permettersi di scherzare.
Infatti l'ironia riesce molto meglio agli altri. E chi ha torto marcio non fa molto ridere.
Ma la vera Bibbia era per noi racchiusa in una parola, anzi, un aggettivo: pop.
Quelle didascalie devono essere più pop. Quel pezzo traducimelo in versione pop.
Non è un diminutivo di popcorn, sia ben chiaro. Semmai di popolare, giovanile. Ma fatemi il piacere: la Signora avrà avuto una cinquantina d'anni: pretendeva di insegnare a noi, sbarbuti ventenni, il linguaggio dei ragazzi? Ci mancava poco che non chiedesse di scrivere k anziché ch.
Insomma, per i dirigenti social di Expo parlare italiano è poco pop. Essere chiari e spiegare tradisce un vezzo a cui non vogliono rinunciare. E per un giornalista, che magari non è nessuno, ma che forse proprio per questo nutre ancora un po' di amore verso la propria penna, è decisamente triste.

Dopo giornate trascorse a scartabellare archivi web per localizzare luoghi immortalati negli scatti vintage del Touring Club (dico: già che vi hanno dato le cartoline, non potevano lasciarvi anche le didascalie?) e a contare le vetrine in via Montenapoleone (sì, avete capito bene) o gli alberi del comune di Milano (per fortuna quello non era toccato a me), siamo passati alle interviste.

La gente doveva dire cose positive di Milano. Spiegatelo a un ballerino africano emarginato ed etichettato subito come voi tutti state immaginando. O dite al cittadino rumeno che non è il caso di raccontare che i militari nel suo Paese buttavano i dissidenti dalle finestre dopo averli uccisi, per simulare suicidi. Sarebbe stato poco pop.

Nessuno ci aveva fornito indicazioni sul formato stilistico da adottare per il montaggio, tanto che chi aveva già fatto i video (e la maggior parte sì, visto che erano da consegnare di lì a poco) si era arrangiato con il buon senso personale, pena poi dover modificare tutto secondo gli standard Expo.
Video modificati e rifiniti anche 20 volte, perché c'era sempre quel particolare che non andava. E pazienza che non prendevamo un soldo da Expo. Per quello eravamo in buonissima compagnia, visto che il 92% dei lavoratori Expo sono volontari (il che avrebbe un senso se non ci fosse in Italia un tasso di disoccupazione giovanile che supera il 40%). Pazienza anche sul fatto che venissimo trattati come pezze da piedi, e che addirittura non avessero voluto mettere troppo vicini il logo della scuola di giornalismo e quello di Expo. Il motivo - dicevano - era che non c'era una vera e propria collaborazione. Non so che cosa intendessero per collaborazione, ma intuisco che se avessimo finanziato in un modo non solo fattuale ma anche monetario le casse Expo, un po' più vicini ce li avrebbero fatti mettere.


Alla fine, comunque, i video non sono stati pubblicati. Non si sa perché. Gli intervistati continuano a contattare me e i miei colleghi per avere notizie delle loro storie, di come hanno usato il loro tempo, di cosa ne è stato delle interviste,
Ho scritto una mail, poi due, poi tre, alla Signora. Senza risposta. Poi mi sono stancata di fare la stalker. Ma insomma, quando vedo la stupenda - dico davvero - informazione fatta per Expo, quando penso che è frutto di tante persone a cui è stato riservato un trattamento simile al mio, beh, a "Nutrire il pianeta. Energia per la vita" ci credo poco.


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