lunedì 22 giugno 2015

Nuove malattie? Occhio ai nomi

Ebola, influenza suina, morbo della mucca pazza...In futuro scordatevi nomi simili a questi per designare le malattie. Lo scorso 8 maggio l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha diffuso le nuove linee guida sulla nomenclatura delle patologie*.

Parola d'ordine: correctness, correttezza formale, ma specialmente politica (nell'accezione più ampia del termine). Niente più riferimenti a persone, luoghi e animali, ma nemmeno a cibi e oggetti particolari. L'obiettivo? Secondo l'Oms: "Ridurre al minimo l'impatto negativo che i nomi delle malattie possono avere sul commercio, sul turismo e sulla libera circolazione di persone e merci ed evitare che taluni soggetti vadano incontro a episodi di discriminazione per come si chiamano o dove abitano".


Senza dubbio dare il nome di un fiume o di una etnia a patologie spesso gravi ed epidemiche può avere ripercussioni negative sulla reputazione e sull'economia di intere regioni, così come il pericolo di stigmatizzazione è assai elevato. Pensiamo solo alla gay-related immune deficiency, vecchio nome dell'Aids, che accrebbe notevolmente i moti discriminatori verso la popolazione omosessuale. La motivazione è quindi lecita, ma non esime da altri problemi.

Molti scienziati, infatti, pur essendo d'accordo sulla necessità di non attribuire nomi stigmatizzanti alle malattie, escludono che le nuove regole dell'Oms possano portare a un effettivo miglioramento. "Queste linee guida renderanno i nomi meno riconoscibili e genereranno confusione, rischiando di creare disfinformazione anziché chiarezza", ha dichiarato Linfa Wang, esperto di malattie infettive all'Australian Animal Health Laboratory di Geelong, Ausralia. "L'Oms parte da un intento giusto, ma va troppo oltre - sostiene Ian Lipkin, virologo alla Columbia University -. Non vedo come possa essere utile eliminare nomi come "vaiolo delle scimmie", che forniscono intuizioni basilari sui portatori naturali e le potenziali fonti di infezione".


L'Oms va davvero oltre. Non solo saranno banditi i nomi propri di popoli, regioni, animali ed elementi geografici, ma anche quelli di professioni, nonché attributi troppo suggestionanti come "epidemico" e "fatale". D'altra parte, gli scienziati dovranno privilegiare numeri e acronimi, apponendo in termini generici il tipo di patologia (respiratoria, intestinale ecc). Anche i nomi propri rientrano nella black list, perché, afferma Kazuaki Miyagishima (Oms), "Se chiamare Kathrina un uragano segnerà le persone che portano quel nome solo per due o tre settimane, lo stesso non si può dire per malattie virali e che spaventano la popolazione mondiale".



Gli abitanti di Norwalk non se l'erano presa particolarmente per l'etichetta "Norovirus", appunto dalla cittadina dell'Ohio in cui ne fu scoperto il ceppo patogeno, lo stesso non si può dire però dei giapponesi, che si dichiararono imbarazzati, visto che Noro è un tipico cognome nipponico.
Anche le sigle, tra l'altro, potrebbero incorrere in questo tipo di fraintendimenti. "L'unico sistema per evitare simili questioni - sostengono gli scienziati - è denominare le malattie con i numeri". Sarà semplice tenere a mente il morbo n.5, ma che cosa accadrà quando arriveremo al 256.384.763?

*Il documento è stato pubblicato dalla rivista scientifica Science.

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