sabato 10 gennaio 2015

In tribunale per un post


Potete pensare di tutto davanti a questa immagine. Purché non lo scriviate su Facebook. Come ha invece fatto Marina Morpurgo, per anni inviata de L'Unità e poi caporedattore del settimanale Diario.
La giornalista aveva postato sulla sua pagina Facebook il manifesto pubblicitario della scuola foggiana di formazione professionale Siri, che prepara giovani estetiste ed estetisti.
La foto della bambina (sì, è una bambina), che avrà più o meno sei o sette anni e ammicca mettendosi il rossetto acconciata in pieno stile hollywoodiano, è corredata dalla scritta: "Farò l'estetista. Ho sempre avuto le idee chiare".
Ed ecco il commento della Morpurgo: Anche io ho sempre avuto le idee chiare: chi concepisce un manifesto simile andrebbe impeciato ed impiumato... I vostri manifesti e i vostri banner sono semplicemente raggelanti... Complimenti per la rappresentazione della donna che offrite... Negli anni Cinquanta vi hanno ibernato e poi risvegliati?
L'esternazione non è passata inosservata. E a non averla gradita è stata specialmente la titolare della scuola, Maria Laura Sica, che dopo alcune settimane ha sporto querela, denunciando la giornalista. Il pm che ha svolto le indagini, Anna Landi, ha emesso ai suoi danni un decreto di citazione diretta a giudizio con l'accusa di diffamazione a mezzo stampa.
Un reato, quello per cui sarà imputata Marina Morpurgo, che è previsto dall'art. 595 del codice penale e costituisce un'aggravante della diffamazione semplice. Con il mezzo stampa, infatti, l'oggetto che si vuole tutelare, vale a dire la reputazione della persona che si ritiene offesa, è danneggiato in maniera più ampia, proprio per la maggiore diffusione che, si suppone, ha uno stampato.
Si parla di stampati. Che c'entra Facebook? Se si trattasse di un quotidiano o di una rivista on line, potrei dirvi che, nonostante la legislazione non sia ancora limpida a riguardo, sempre di prodotto editoriale si tratta. Cioè che non importa la materia di cui è fatto un giornale, ma contano la sua penetrazione e diffusione tra la gente. La potenzialità del danno (ledere l'onore e la reputazione della Siri), in questo caso sarebbe stata decisamente elevata, forse ancora di più rispetto a una pubblicazione cartacea.
Il punto è un altro. O almeno altri due. Che quel commento è stato pubblicato su un social network, Facebook per l'esattezza, e si presume fosse visibile ai soli "amici" di Marina Morpurgo. In questo caso, se proprio si volesse parlare di diffamazione, ci si dovrebbe comunque fermare alla diffamazione semplice. Vero è che l'autrice del commento non è la casalinga di Voghera ma una giornalista affermata e probabilmente con una visibilità importante. Il suo ruolo professionale e sociale dovrebbe quindi costituire un'aggravante? Notate, non stiamo parlando del Presidente della Repubblica, ma di una giornalista.
E allora veniamo all'art. 21 della Costituzione, che nel primo comma sancisce un diritto preciso, quello di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Il diritto di informazione è considerato tra i più inviolabili, tanto che, a eccezione dei minori, viene messo prima della privacy, dell'onore e della reputazione. Per i giornalisti, anche in caso di diffamazione, valgono tre criteri fondamentali: verità (anche putativa), interesse pubblico e continenza formale. Per quanto riguarda la critica e la satira, che pure rientrano nell'articolo 21, i confini sono ancora più lassi, specialmente sulla continenza, cioè sulla forma in cui vengono esposte le opinioni.
Tra l'altro Marina ha usato, per le espressioni che forse paiono più colorite, due verbi che si riferiscono al noto fumetto di Paperino impiumato e impeciato. Un richiamo al disegno, all'ironia e alla libertà di espressione che ricorda amaramente i ben più tragici fatti parigini di questi giorni.

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