giovedì 14 maggio 2015

Tutti a tavola, si scatta!

E' cresciuto, e bne, il foodie o #foodporn. Figlio del selfie, da cui ha ereditato crediti e discrediti: come il titolo di tendenza social 2015 (al genitore spettava quella del 2014); come lo scherno cui è soggetto, ma che non impedisce a nessuno di tirare fuori lo smarphone e immortalare l'hambugerone o le due foglie di insalata (con germogli di soia, sia chiaro) che si hanno nel piatto.



E se il selfie ha ottenuto il suo oggetto magico, ormai noto come selfie stick, malefica bacchetta che illude lo spettatore di avere di fronte una fotografia non auto scattata, il foodie si conquista un piatto. No, non una pietanza realizzata ispirandosi al fenomeno, proprio un arnese incommestibile, ma utile per fotografare tutto ciò che - teoricamente - commestire si può. Stiamo parlando del piatto per foodie, stoviglia ancora relegata nella credenza delle nicchie, ma che presto molti ristoranti saranno interessati a possedere.
Ebbene sì, probabilmente non sarà l'arnese più duttile per mangiare. E nemmeno per conversare con il dirimpettaio, ma l'invenzione pare studiata per altri scopi. Il diligente scattista non si sentirà certo solo: la fatica nel sostenere una conversazione con i compagni di tavolo sarà ben compensata dai like degli amici su Facebok e su Instagram e dai commenti sprizzanti invidia o disgusto. Perché uno dei motivi che spinge a postare una fotografia sui social è senza dubbio la necessità di suscitare reazioni. Ecco qui il gene del padre selfie: condivido uno auto scatto, dunque sono. Esisto. Aspetto che mi diciate che cosa ne pensate. Meglio se in bene, ovvio, ma non è fondamentale. 

Insomma,  che sia un bel faccione appena sveglio al mattino, la foto di chi non riesce a dormire (forse spegnere il cellulare sarebbe un buon passo) o la schiscetta consumata alla scrivania dell'ufficio (con un beverone Sturbucks accanto per dare il tocco di charme - magari evitando di accostarlo alla lasagna di mammà), il concetto è lo stesso. Ci sono. Faccio. Mi trovo. Per alcuni è fondamentale anche condividere la propria posizione: all'Esselunga, in ospedale, nel bar sotto casa. Se poi l'interesse sia corrisposto da chi acquisisce tali informazioni, resta un mistero.

Tornando al piatto, avrete senza dubbio notato che non solo sarebbe faticoso conversare, ma anche mangiare senza sporcare sé o i tasti del cellulare. In fondo, però, chi se ne importa: tanto mica devono essere fotografate le maniche unte di sugo no? A meno che per maniche intendiate il formato di pasta. Evidentemente gli inventori di questo marchingegno devono aver intuito che la scomodità avrebbe potuto essere una barriera all'entrata nel mercato dei foodie. Ecco allora la
seconda versione, che di fatto somiglia un po' a un bilancino pesa alimenti, ma forse non a caso. I like non sono poi l'unità di misura della soddisfazione ricercata dai nostri fotografi allo sbaraglio? Che magari, in questo caso, potranno anche farsi vedere mentre divorano goduriosi il loro cibo. Basterà posizionarsi dall'altro lato del piatto.
Se vi state chiedendo da che mente sia partorita l'idea diabolica (ogni idea è un po' santa un po' diabolica), vi svelerò il segreto. E' stato Adi Nissani, artista della ceramica, a ricevere la commissione da una delle più antiche enoteche israeliane, la Caramel Wineries.

Piatto o non piatto, c'è chi sostiene che vi sia qualcos'altro alla base dell'ossessione per il #foodporn. Il controllo sul cibo. Vale a dire: fotografare ciò che stiamo mangiando non è finalizzato solo a vantarci con gli amici per le raffinatezze o le stramberie che presto (forse) faranno capolino tra le nostre fauci, ma è anche e soprattutto una illusione di controllo. Avete mai fatto caso che le foto di cibo sono quasi sempre dall'alto? Come a dire: le regole del gioco (il pasto), quello che si presume entri nel nostro stomaco, siamo noi a deciderle. Una delle prime norme che insegnano a fotografi e cineasti è questa: l'inquadratura dal basso rende potente il soggetto immortalato, quella dall'alto lo sottomette. Appunto.



A volte è un gioco. Altre una vera e propria un'arte. Spesso solo qualcosa di divertente e creativo.
Chissà. Forse questo è l'ennesimo bisogno di spiegare illogicità delle tendenze sociali. Resta il fatto che gustare un buon cibo, magari con le persone giuste, non fa venire alcuna voglia di tirare fuori lo smartphone.


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