domenica 15 marzo 2015

Con Giulia, non come Giulia

UEra una mattina come tante, esattamente quattro anni fa, per Stefano Tavilla. Ma da quella mattina del 15 marzo 2011 niente sarebbe stato più come prima. Sua figlia Giulia non aveva risposto al richiamo, né suo né della sveglia.
Morta nel sonno. Per un arresto cardiaco. A diciassette anni.
Era bellissima Giulia.
Forse apparentemente lo era troppo. Per sembrare malata.
E invece lo sapevano bene quelle quattro mura del bagno in cui si rinchiudeva dopo ogni pasto quanto quella ragazzina stesse male.
E se n'era reso conto anche Stefano, suo padre. Tanto da averla convinta a farsi curare. A dire basta alla bulimia. Ma dire basta a un disturbo dell'alimentazione non è come andare al pronto soccorso e farsi strappare repentinamente dal braccio della morte.
Ci sono visite da fare, liste d'attesa da rispettare, tempi che troppo spesso non sono conciliabili con la vita. Perché la vita non aspetta, o almeno non l'ha fatto quella di Giulia, che stava attendendo il suo turno per entrare in una struttura riabilitativa.

Di disturbi alimentari avevo già parlato, un anno fa. E le parole sarebbero le stesse.
Oggi vi lascio il racconto di Stefano.
Giulia che alla fine aveva alzato gli occhi e sì, voleva farsi aiutare. Giulia che in queste
foto è bella da togliere il fiato, e però non c'è più. Giulia che è morta a 17 anni perché l'avevano messa in lista d'attesa, perché a Genova e in Italia non ci sono posti dove curare - in tempi umani - chi ha una dipendenza diversa dalla droga, dove la prima persona che aveva aperto una breccia nel disagio rischia di sparire per un contratto scaduto. Per un contratto scaduto. «Ho deciso di raccontare tutto. Ci sono centinaia di ragazze in quelle condizioni, famiglie devastate dalla spirale che innescano certi disturbi alimentari. Sapete che l'avevano definita una paziente non in pericolo?» Stefano Tavilla è un uomo di 46 anni che ha deciso di vivere in apnea, e metterci la faccia e dire com'è andata la tragedia di sua figlia, studentessa del liceo D'Oria morta nel sonno, una settimana fa, straziata dall'aritmia cardiaca conseguenza della bulimia che l'affliggeva da tempo. Eccola, la vera storia «che deve salvare altri ragazzi, che deve fare entrare la discussione approfondita su questi temi nelle scuole e ovunque». Genovese, 17 anni, Giulia era in lista d'attesa. Nessuna richiesta di risarcimento. «Ci hanno detto che il suo caso farà statistica, ok. Ma non è stata solo fatalità. E non voglio colpevolizzare, soltanto mettere a nudo le voragini spaventose che segnano il percorso di chi cerca di uscirne». Giulia che a 12 anni e mezzo con il cibo e l'alimentazione entra in conflitto, che mangia e vomita e cambiano i battiti del cuore e le forze cedono e i valori del sangue sono sballati. «L'unico sostegno, fino ai quattordici anni, è rappresentato dal Gaslini. Dove si può contare su una consulenza medica, ma non psicologica. É un aiuto importante, non può bastare». Il supporto fondamentale è quello d'uno psicoterapeuta, Stefano stringe gli occhi: «Lei non voleva, non accettava, non c'era verso. E bisogna provarci e provarci, ma senza forzare. E in casa è un inferno, sta male e il volto cambia, il sorriso si spegne». Giulia che compie quattordici anni e non può essere più una paziente del Gaslini, ma ha diritto all'assistenza del Centro disturbi alimentari dell'Asl 3, a Quarto. «Poteva rapportarsi con un dietologo e uno psicologo. Un po' meglio, certo, ma fanno quel che si può». Quattrocento persone da assistere, forze ridotte, difficilissimo convincerla e dopo un anno si ferma ancora. «Quella strada non funzionava, lei s'era chiusa, completamente. E ha smesso di frequentare il centro, ci siamo affidati a un nostro psicologo, pagato da noi. Ed era quasi impossibile trovare una struttura che ci dicesse cosa fare». Ci sarebbe, in realtà, il centro specializzato al Santa Corona di Pietra Ligure. Ma Giulia che è morta, per quei disturbi, non ci poteva entrare in quanto il suo peso non era "allarmante"». Stefano arretra un secondo d'istinto, ora, s'accascia sulla sedia, la mano tesa verso Filippo che oggi l'ha accompagnato ed era il migliore amico di Giulia: «Ci sono ragazze che giocano a fare le anoressiche, che vedono alla tv coetanee alte un metro e ottanta con la taglia 38. E tutto contro natura, ma chi glielo dice quant'è devastante? Chi ce lo viene a spiegare in modo approfondito in classe? Io conoscevo Giulia, si confidava con me, sembrava forte ma aveva molte fragilità. Era sensibile, molto». Nell'estate 2010 lei e i suoi familiari che ci riprovano: «E tornata a Quarto - spiega ora il padre -. Supporto medico (prescrizione di esami e d'una dieta poi "a carico" dei genitori) ma soprattutto psicologico». Potrebbe essere la svolta, Stefano s'illumina un secondo: «Quella psicologa era riuscita ad aprire qualcosa, in lei, in casa si respirava un'aria diversa». Due mesi. «Il contratto della dottoressa è scaduto, non lo potevano rinnovare». Panico. «Abbiamo deciso di continuare il trattamento noi, di pagarla con i nostri soldi. Fortunatamente avevamo disponibilità, ma in quale dramma saranno precipitate le famiglie che non potevano permetterselo?». Gennaio, Giulia lo dice per la prima volta, vuole curarsi. E riunione d'urgenza alla Asl: «Ci hanno prospettato tre soluzioni, tre cliniche private che potevano rappresentare la sua salvezza: Vicenza, Riva del Garda e Parma». La scelta cade su Vicenza: «Quaranta giorni di telefonate, prima di avere un appuntamento. E una struttura convenzionata, diciotto posti, trattamenti di tre mesi. E poi finché non si libera un letto sei appeso a un filo». In lista d'attesa, sì. Otto marzo, colloquio in Veneto perché volevano essere certi che Giulia avesse scelto da sola, senza imposizioni. Ok. Ma il suo fisico adesso vacilla, troppo. Gli esami dell'ultimo mese hanno certificato carenze di sali minerali croniche, aritmia cardiaca. «Ci avevano prescritto il Polase, come cura. Lo danno agli sportivi, e lei, magari, lo prendeva ma poi lo vomitava». A Pietra Ligure non può andare perché non la considerano «a rischio», per Vicenza aspettano, nessuna alternativa. Giulia che la notte del 15 marzo s'addormenta, e non si sveglia più. E Stefano fa no con la testa: «Perché c'è così poco cui aggrapparsi, in una situazione del genere? Chi sa come realmente si ripercuote sulla vita d'una famiglia? Servono le scuole, le Asl, la chiesa, servono più comunità specializzate. Io ci sono, cercatemi: non deve capitare ad altri».
E da parte mia un invito, per chi può, a partecipare a una delle tantissime iniziative che sono state organizzate per questa giornata nazionale dei fiocchetti lilla. Una giornata per ricordare Giulia e per far sì che la sua storia non si ripeta.


Io sarò presente a Brescia, al Red App di via Moretto 55, a partire dalle 18 di stasera.
Aperitivo in lilla

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