domenica 30 marzo 2014

La scuola fa bene alla salute

Forse l'idea non piace agli studenti più lavativi. E ancor meno alle mamme chiocce. Eppure pare ci sia una stretta connessione fra il livello di istruzione e lo stato di salute della popolazione. Lo ha dimostrato uno studio realizzato negli Stati Uniti e pubblicato di recente su Science.
La ricerca, denominata Carolina Abecedarian Project, è stata condotta dall'Università del North Carolina (UNC), a Cape Hill, e aveva come obiettivo primario verificare se fosse possibile innalzare il quoziente intellettivo (QI) e il grado di rendimento scolastico dei soggetti nati e cresciuti in condizioni economiche di povertà, quindi più ad alto rischio di lasciare la scuola e diventare disoccupati. Ebbene, oltre a dimostrare che la miseria non è incisa sulla pietra, questo studio ha messo in luce anche la correlazione tra un programma intensivo di formazione nei primi anni di vita del bambino e il suo stato di salute raggiunta un età minima di 30 anni.
Già dal 1972 furono reclutate più di 100 famiglie con figli di 2 mesi. Nella maggior parte dei casi si trattava di afro-americani con un bilancio economico che li faceva rientrare nella fascia povera della popolazione. Le madri non sapevano a chi affidare i loro bambini mentre erano a lavorare. Ora, posto che a tutti i partecipanti allo studio venne garantita assistenza nutrizionale e medica, metà di essi (il cosiddetto "gruppo di controllo") ebbe solo quella, mentre l'altra metà fu introdotto anche in un programma intensivo, che prevedeva l'inserimento del bambino in una scuola, prima materna e poi primaria, per 5 giorni a settimana, in media dalle 6 alle 8 ore quotidiane. A scuola i bimbi erano seguiti non solo dagli insegnanti, ma anche da psicologi ed educatori. In pratica: c'era sempre qualcuno che parlava, giocava e si relazionava con loro.



Nulla di sorprendente, penserete voi: lo fanno anche i nostri genitori e i nostri nonni. Certo, ma spesso si tende a dimenticare che "noi" siamo solo una fettina, circa il 20%, della popolazione mondiale. Queste attenzioni non sono così scontate per milioni di bambini e ragazzi che al posto dell'ovetto kinder e del Topolino, o, per attualizzare la situazione, dei giochi sull'ipad, si trovano in mano un pezzo di carbone. E non il carbone dolce, quello di Santa Lucia e della befana, ma il carbone vero, direttamente uscito da una miniera. Tipo Rosso Malpelo, per intenderci.
Insomma, se l'Abecedarian Project ha evidenziato una verità che già si poteva facilmente intuire, ovvero che il gruppo sottoposto a formazione intensiva raggiungeva un QI più elevato e che aveva il quadruplo delle possibilità di laurearsi e il 30% delle probabilità in più di trovare lavoro entro i 21 anni, altri risultati, decisamente più inaspettati, sono emersi dall'evoluzione dello studio dell'UNC. Cioè, non solo i soggetti trattati avevano prospettive più rosee per il futuro lavorativo, ma anche, e forse per questo, uno stato di salute decisamente migliore. All'età di 30 anni, infatti, i partecipanti sono stati sottoposti a test clinici per misurare la pressione sanguigna e il livello di zuccheri nel sangue. I membri del gruppo di controllo, in media, si attestavano al livello 1 di ipertensione (quindi con alto rischio di infarti e altri scompensi cardiaci) e un quarto di essi presentava anche una sindrome metabolica, ovvero una costellazione di sintomi, tra cui iper-glicemia ed eccesso di grasso addominale, connessi alla cattiva alimentazione e all'obesità. Nello status di salute di tutto il gruppo trattato, al contrario, non emergevano anomalie.
Lo stesso team di scienziati che ha condotto la ricerca non è tutt'ora in grado di stilare una connessione sicura e diretta tra il contesto formativo nei primi anni di vita e lo stato di salute in età adulta, sia per i molti fattori che convergono in questo ambito sia per il numero tutto sommato esiguo di soggetti studiati. Certo è che, se non possiamo dire con esattezza il perché, abbiamo comunque dati evidenti che costituiscono i vertici del triangolo formazione-economia-salute. Vale a dire: una cura maggiore delle politiche scolastico-educative garantisce sia un migliore stato di salute sia l'incremento del pil di una nazione. Una connessione importante, specialmente per l'Italia. Da noi le prime voci di spesa pubblica sono infatti: sanità e pensioni. Per contro, l'istruzione e la formazione sono lasciate decisamente nell'ombra, non solo per quanto riguarda i fondi destinati alla ricerca e alle università, ma anche per i servizi collegati allo studio, ovvero progetti educativi per i più piccoli, asili nido, dopo-scuola e campus universitari. Tutti elementi che nella maggior parte dei casi non vengono finanziati dallo Stato, perché, in termini di priorità, sicuramente non sono i primi della lista. E non c'è da stupirsi: se il bilancio, già in forte deficit, è limitato, da qualche parte bisogna pur tagliare. Il problema è una ricanalizzazione degli stanziamenti. Se, per esempio, si prestasse più attenzione alle politiche sociali volte a migliorare l'imprinting formativo della popolazione, ne gioverebbe anche la salute collettiva, generando quindi un bisogno inferiore di spese sanitarie. Al tempo stesso ciò darebbe garanzie più elevate per il futuro, stimolando l'iniziativa privata e riducendo quindi l'afflusso massiccio di dipendenti nel terzo settore, che ormai sta collassando. Senza contare i posti di lavoro generati in ambito sia scientifico che umanistico per offrire servizi educativi.
Non da meno, gli effetti sociali: se nel nostro Paese c'è la tendenza a restare e fare tutto in famiglia, ciò è dovuto anche all'assenza di appigli al di fuori di essa. Senza stimoli economici (per esempio borse di studio), reti comunitarie (avete presente i campus nel Nord Europa o negli Stati Uniti?) e un'adeguata abitudine culturale. Il nostro Welfare State è basato su un sistema familistico, paternalistico e particolarista, che significa: in assenza di servizi sociali adeguati, la cura dei bambini e degli anziani è per lo più gestita all'interno della famiglia, così come, nei casi che lo consentono, le attività economiche sono portate avanti più per cognome che per passione. Questo vuol dire tarpare le ali a molti giovani, restringendo fortemente le possibilità di accesso ai singoli mercati.
Insomma, si tratterebbe di instaurare un circolo virtuoso, interrompendo l'effetto domino della mala o non education.

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