domenica 9 marzo 2014

Lazzaro, alzati e cammina. E si ribaltò dalla sedia a rotelle.




Dallas Buyers Club, regia di Jean Marc Vallée, con Matthew McConaughey e Jared Leto. L'ho visto ieri al cinema e ve lo consiglio. Un gran bel film. Ma da prendere con le pinze, non emostatiche, s'intende, piuttosto quelle del buon senso.
Perché la storia di Ron Woodroof è pugno nello stomaco, così come fa venire la pelle d'oca la pellicola che la racconta, ma…c'è un ma. Il rischio è che dal film venga recepito un messaggio pericoloso. Si tratta di una polemica contro le case farmaceutiche, che speculano sulla disperazione dei malati nei casi di patologie per cui non esiste ancora una cura realmente efficace e risolutiva. Negli anni 80 era l'Aids, oggi l'attenzione si è spostata soprattutto sui tumori e sulla Sla. Ma ci sono tantissimi mali ancora incurati e incurabili, basti pensare alle malattie rare, per cui è anche poco conveniente intraprendere progetti di sperimentazione clinica, dato che non verrebbe poi a svilupparsi un mercato del farmaco.
Il problema, uno dei tanti almeno, è tuttavia un altro. Il fai da te. Le cure alternative. I rimedi naturali. Una moda rovinosa, addirittura peggiore delle zeppone Fornarina di quando andavo alle elementari, o dei selfie e delle sfide alcoliche diffuse oggi sui social network. Perché qui si parla di vita. E di morte, purtroppo.
Non scherziamo con il fuoco, per favore. Le erbette sono tanto buone, ma nel piatto, non in un flacone che dovrebbe sostituire la chemioterapia o farmaci testati e somministrati sotto il controllo di medici (veri e competenti).
Invece sempre più spesso, complice anche la nutrita fauna di impostori sulla rete, chi è disperato incappa in santoni e guaritori, che propongono soluzioni "sane e naturali" per debellare morbi che nemmeno anni di ricerca, studi e sperimentazioni sono riusciti a sconfiggere.
Ragioniamo un momento: secondo voi, se questi luminari della medicina alternativa fossero davvero certi delle loro scoperte, non si sarebbero già affrettati a sottoporle a brevetto, facendosi pagare profumatamente dagli Stati e rendendole ufficialmente riconosciute, anziché continuare ad agire clandestinamente, magari in scantinati adibiti a poliambulatori clowneschi e con il costante rischio di un blitz delle forze dell'ordine?
Secondo me sì. Forse però, se non l'hanno ancora fatto, è perché tanto certi dell'efficacia e della sicurezza delle loro erbette non sono. O, se lo sono stati in passato, i test clinici li hanno smentiti. Quindi sono ricorsi al piano B: vie traverse, che consentono loro di accumulare lauti gruzzoletti pur non avendo gli studi, le competenze, le approvazioni, e quindi il diritto, per farlo. Come? Prendete una persona disperata, stanca di sottoporsi a terapie senza dubbio dolorose e invasive, avvilita dalla mancanza di sicurezze sulla prognosi e sul futuro, disposta a fare di tutto per avere La Soluzione. E promettetele che, in modo assolutamente naturale, guarirà, smetterà di avere dolore, riprenderà una vita normale. Basterà pigliare qualche erbetta o due gocce di limone al mattino, o un magico tofu, magari acquistabile comodamente su eBay. Eccome che vi darà retta! Se poi non chiedete subito soldi, magari non in forma diretta, ma attraverso "libere" donazioni alla vostra fondazione, creata appositamente per tale scopo (questo però magari non glielo dite), beh, il business sarà assicurato. E se poi la persona dovesse, inavvertitamente, ravvedersi e pensare di tornare alla medicina tradizionale, sarà sufficiente incalzare lei e i suoi familiari con qualche minaccia e con pressioni psicologiche. Tanto poi, nella maggior parte dei casi, quella gente avrà già speso tutte le sue risorse emotive e finanziarie, non vedrà altra soluzione se non quella di rimanere ancorata al santone. E voi sarete ricchi!
Beh, se cercate un modo cinico per far soldi indebitamente, spero non leggiate questa pagina. In caso contrario, mi tengo preparata a una visita della guardia di finanza.



Ma torniamo al film e alla questione. Certamente le industrie farmaceutiche non perseguono solo obiettivi etici. D'altronde non prendiamoci in giro: si tratta pur sempre di mercato, anche nel caso dei medicinali. Per questo dovrebbero intervenire le agenzie nazionali del farmaco e i comitati etici delle aziende ospedaliere, a tutela sia dei pazienti sia delle industrie farmaceutiche. Da un lato, cioè, fare in modo che entrino in circolazione solo terapie sicure, dall'altro salvaguardare anche gli interessi delle imprese, perché, per chi non lo sapesse, nessuno può imporre a un soggetto economico un'attività che gli costi lavoro e non gli produca profitto o che addirittura gli generi perdite. Ma le cose non sono così lineari. Entrano in gioco interessi altri. E non solo economici. Per esempio, resta troppo vaga la questione delle ingerenze politiche. Sono i comitati etici, sentita l'approvazione dell'agenzia del farmaco e con la presentazione di un protocollo specifico, a decidere sulle sperimentazioni cliniche o, nel caso non ci siano alternative terapeutiche e il paziente sia in fin di vita, sulle cure compassionevoli. Ebbene,  il comitato etico di ogni azienda ospedaliera viene nominato dal direttore generale della stessa, il quale, a sua volta, è scelto dalla giunta regionale. Fin troppo facile intuire come, nonostante vi sia una componente esterna del comitato pari al 50-60%, le sue decisioni possano essere comunque influenzate sia dagli interessi dell'azienda sia da quelli delle cariche politiche. Il caso Stamina, per cui il metodo Vannoni è entrato in un ospedale pubblico senza il consenso formale dell'Aifa e senza un protocollo di sperimentazione (presentato e rigettato perché incongruo oltre due anni dopo la somministrazione ai pazienti mediante cura compassionevole), è solo la punta dell'iceberg.
E' l'economia sommersa della medicina. Maghi del business, che non possono certo definirsi medici, aprono catene di studioli satelliti sparsi per la penisola o, ancora meglio, a San Marino e in Svizzera. Tramite il web adescano le prede da immolare: blog, forum, passa parola sono le vie privilegiate. Perché si sa, tra i malati affetti da una stessa patologia, specie se questa è poco diffusa e riconosciuta, non tarda ad affermarsi una fitta rete di solidarietà. Perciò: ti consiglio tizio che mi ha dato x per sconfiggere y e l'ho pagato solo z.
Poi si fa tutto in maniera casereccia: meglio non diffondere la voce. E se anche il dubbio a qualcuno viene, la disperazione è troppa per non provare e il rischio che sfumi anche questa opportunità spinge a tapparsi la bocca.
E così si perde tempo, oltre che denaro. E' questo il vero dramma. Quand'anche le cure naturali e alternative non siano direttamente nocive, e in molti casi lo sono, lo diventano perché sottraggono tempo prezioso, che potrebbe essere utilizzato per curarsi in maniera monitorata e sicura. Non sto insinuando che tutto ciò che è omeopatico e naturale sia stupido e inefficace, ma non può sostituire i ritrovati della scienza. Ci lamentiamo tanto della fuga di cervelli, del fatto che i ricercatori preferiscano spostarsi all'estero, ma se lo facciamo è perché ci crediamo. In fondo tutti stimiamo l'importanza e la necessità di persone che studino e che si applichino per migliorare il nostro tenore di vita. Ma in modo sicuro. Per questo queste ricercatori e scienziati sono ancora così pochi, per questo la ricerca costa così tanto. Perché implica modalità complesse, tempi lunghi, criteri selettivi stringenti. Purtroppo non si può avere tutto e subito. E l'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re, figuriamoci a San Marino.


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