martedì 11 marzo 2014

Prof Agostini, questa volta non è divertente


Gli piaceva scherzare con gli studenti. Soprattutto con le allieve secchione e impacciate come me. Frequentavo il secondo anno della triennale in scienze della comunicazione quando ci ebbi a che fare per la prima volta. Laboratorio di giornalismo e new media. Le tre del pomeriggio di una dura ripresa dopo la sessione di esami. Nonostante fosse il 4 febbraio c'era il sole e faceva caldo. E lui indossava la solita giacca a coste in velluto verde. Molto radical chic, come la copia di Repubblica che teneva sotto il braccio. Se non fosse stato per i tormenti di una relazione amorosa che si sarebbe conclusa molto male quella sera stessa, mi si poteva definire estasiata da quella lezione. E poi io lo sapevo dalla quarta liceo. Avrei fatto la giornalista da grande. E non avevo mai cambiato idea.
Fu così che alle sue lezioni, se non prendevo appunti come uno scriba egizio, facevo stretching col braccio destro a forza di alzare la mano per rispondere alle sue domande. Perché le lezioni del prof. Angelo Agostini non erano mai frontali.  Troppo comoda stare lì, ascoltare e basta. Mica potevi dormire. Per questo ti lasciava il tempo prima. E anche a lui non piaceva svegliarsi di buon ora, quindi cercava sempre di fissare i corsi in tarda mattinata o nel pomeriggio.
Alla fine del secondo anno andai a ricevimento. Balbettante e impacciata, gli dissi: <<Vorrei fare la tesi in giornalismo con Lei, perché dopo la triennale farò l'esame per entrare nella sua scuola>>. Non glielo chiesi, glielo comunicai. Anche se, per il mio carattere, ciò costituì una fatica immane. Lui, guardandomi con quel suo ghigno beffardo, mi domandò: <<Quanti anni hai?>>. <<Venti>>, risposi. A questo punto, la risata che probabilmente gli solleticava la gola dal primo momento in cui ero entrata nel suo studio, con la mia borsa di pelle marrone malandata, le converse distrutte, la faccia sciupata dalla mancanza di sonno e ovviamente la sedia in cui ero inciampata, beh, quella risata uscì prorompente dalla sua bocca. <<Bruci le tappe, signorina. Vabbè, leggiti un poco - perché lui non usava mai il troncamento - questi libri, poi torna con un'idea>>. Una lunga lista di volumi sul giornalismo. Annuii con espressione convinta, mentre vedevo sfumare l'ozio totale delle vacanze estive.
Tornai all'inizio di settembre con qualcosa in mano. Tre scalette, per sicurezza. Lui ne scelse una e io avevo un progetto. Dopo un mese avevo scritto 185 pagine di tesi. Per andarci cauta, la prima settimana gli portai solo i primi tre capitoli, giusto per attutire l'eventuale eco della sua risata. Invece rise lo stesso, ma non per la ragione che avevo temuto. Mi disse: <<Ma che cosa vuoi fare tu? Diventare direttrice del Corriere della Sera?>>. Ok, sta scherzando. Mi prende in giro. Ma non potevo trovarmi un relatore meno scanzonato? Questo non capisco mai se fa sul serio o mi tira per i fondelli. Però sembrava contento. Fu così che la settimana successiva e quella dopo ancora gli consegnai gli ultimi due capitoli della tesi.
Al terzo anno il mercoledì pomeriggio ero fissa a ricevimento da lui. Anche se non avevo nulla di particolare da dirgli, mi sentivo in dovere di andarci, giusto perché non pensasse, caso mai ce ne fosse il rischio, che mi stavo dimenticando della tesi. E ogni volta che mi vedeva spuntare si metteva a ridere. Ormai ci avevo fatto l'abitudine e se all'inizio le mie guance assumevano una tinta violacea quasi quanto il suo naso, pian piano si limitavano a un yogurt-alla-fragola, che per la mia carnagione cadaverica, credete, è già tanto. <<Sei proprio buffa, sai? Mi stai simpatica>>. <<Ehm, lo devo prendere per un complimento?>>. <<Si sì, è un complimento!>>, mi rassicuravano Marta Zanichelli e Francesco Uboldi, i suoi assistenti.
Insomma, mi prendeva in giro quasi quanto i miei compagni di corso. Tutti con bontà, ovviamente. Guardandomi indietro, non ho mai avvertito tanto affetto come nei gesti goliardici di quelle persone che tra il 2007 e il 2010 mi hanno riempita di scherzi e battute.
Arrivò anche il giorno della laurea. Luglio. Faceva caldissimo. Quel pomeriggio lo vidi arrivare, casualmente proprio a fianco di mio nonno, che era del tutto ignaro di star camminando gomito a gomito con il mio relatore. Mio nonno, che aveva iniziato a piangere giorni prima, quando gli ripetevo il discorso della tesi. Mio nonno, che mi chiedeva: <<Chiara, ma non è che i tuoi giudici - leggete: membri della commissione - sono con Berlusconi? No, perché se fosse così non prenderesti proprio un bel voto…>>. <<Nonno, tranquillo, c'è Agostini. Lui è di sinistra>>.
Ovviamente anche al momento della discussione mi scappò una delle mie gaffes. Strinsi la mano a metà della commissione e l'altra metà la saltai in tronco, presa dal sollievo di aver finito e dalla voglia di togliermi quel coprispalle che mi stava soffocando. Dovetti quindi tornare indietro e rimediare con l'altra metà. Ma ormai lui c'era abituato, così come io mi ero abituata alla sua risata canzonatoria.
Poi gli esami di ammissione al master. Durante il mio orale uscì a fumarsi una sigaretta. Lui non poteva stare più di mezz'ora senza nicotina. Ma che cavolo, prof, mi lascia da sola davanti a tutti questi signori che non conosco? Aspetti un momento, no? Invece tornò dopo dieci minuti e mi chiese perché la Cina stesse svalutando così tanto lo yuan. <<Per avvantaggiarsi nel commercio estero>>, risposi prontamente io, sollevata che qualcuno fosse arrivato a salvarmi dalle domande sul Festival del cinema di Venezia di Paolo Liguori.
Ecco, questa è la parte più felice che ricordo di Angelo Agostini. Poi arrivarono  tempi oscuri. Come direbbe Mago Merlino. Prima per me, poi per entrambi. Poi solo per lui.
Davanti ai miei problemi di salute, che per molti erano davvero difficili da capire, trovai in lui una sensibilità e una comprensione autentiche. Che non erano fatte di parole, ma di sguardi, di gesti. Si informava da mia sorella o dai miei compagni su come stessi, perché temeva che, chiedendomelo direttamente, mi avrebbe messa in imbarazzo. Ma Prof, dico, si rende conto che mi ha messa in imbarazzo dal primo momento in cui ci siamo conosciuti?
L'ultima volta che l'ho visto di persona non mi reggevo quasi in piedi, ma parlammo lo stesso di giornalismo e di progetti, di futuro. Del fatto che a scuola mi aspettavano, anche se ero stata incosciente e ora ero davvero nei guai.
Sono contenta di essere riuscita, in quell'occasione, a dirgli apertamente quanta stima provavo nei suoi confronti. Sono contenta di averlo abbracciato.
Durante i miei lunghi ricoveri in ospedale lo sentivo, principalmente per mail, ma qualche volta gli scrissi anche su un foglio di carta, quando non avevo a disposizione il pc. E anche messaggini sul cellulare a Natale e in ricorrenze particolari.
Tornai in università lo scorso autunno, ma lui non c'era. All'inizio non mi ero chiesta perché. Avevo dato per scontato che fosse rimasto a Trento per concludere le vacanze estive. Lui amava le sue montagne, che motivo aveva di rientrare a Milano se il master non era ancora ripreso? Silvia mi disse che non stava molto bene, aveva un dolore alla gamba.
Sì, ok, ma il Prof è il Prof. Cioè, un dolore alla gamba. Decisi di chiamarlo e vedere da me.
<<Buon giorno Prof, anzi buon pomeriggio, cioè, non è proprio pomeriggio…>> Eravamo alle solite. <<Come sta? Silvia mi ha detto che ha qualche acciacco>>. <<Eh, Chiara, tutti li abbiamo, non è nulla. Tu, piuttosto, come stai?>>. <<Bene, Prof! Vorrei riniziare quest'anno. Tra poco mi dimettono>>.
<<Stai scherzando, Chiara?>>. Cavoli, sta volta era serio. <<Con quello che ti è successo l'anno scorso. No, tu ti prendi ancora quest'anno di riposo e con l'Ordine ci parlo io>>. <<Ma Prof…Lei lo farebbe al mio posto?>>. Oh, per una volta avevo avuto l'ultima parola. Non sapevo però che quella sarebbe stata anche la nostra ultima conversazione.
Negli ultimi mesi gli ho scritto più volte. Sapevo che non stava per nulla bene. Ma forse se avessimo scherzato sulla sua malattia come sul fatto che io fossi una giornalista seria, beh, la cosa poteva funzionare no?
Invece non ha funzionato. Stamattina, Prof, Lei mi ha fatto l'ennesimo scherzone. Questo però, poteva evitarlo.
Sandro Petrone l'ha comunicato a quelli del primo anno. Io avevo avuto solo un sentore pochi minuti prima. Silvia che rispondeva a una telefonata e poi scappava via. Lei non aveva risposto ai miei messaggi nelle settimane precedenti. Due più due fa sempre quattro, purtroppo. Anche per noi giornalisti.
Ho cercato per un po' Silvia, sono andata pure su, dove c'è lo sgabbiozzo della Security Pole (c'è chi li chiama bidelli, ma non sarebbe di sinistra). Ho chiesto al guardiano di Silvia, tipo bambina che non trova la mamma. Molto da me, devo ammettere. Ero confusa, avevo bisogno di qualcuno che capisse e condividesse il mio dolore.
E poi hanno iniziato a piovere messaggi. E ho scoperto, con un po' di gelosia, che è stata una persona importante per tantissimi, oltre che per me. Con i ragazzi dei vari anni di master abbiamo passato l'intera giornata a discutere sul modo migliore per dimostrare la nostra stima nei suoi confronti e la nostra vicinanza alla sua famiglia. Come potrà immaginare, non siamo giunti a nessuna decisione risolutiva, pur avendo sproloquiato per ore.
E questa volta me l'ha giocata proprio sporca: non bastava mio padre, ogni volta che non righerò dritto, anche di nascosto, avrò pure i suoi occhi a lanciarmi sguardi di rimprovero. E naturalmente la sua risata.

1 commento:

  1. cara chiara mi spiace veramente tanto per il tuo lutto.Da come scrivi di lui doveva essere davvero un uomo eccezionale. sii fiera di te stessa quanto lo era lui di te! sono sicura che da lassù continuerà a gioire dei tuoi successi. un abbraccio. vanessa

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