martedì 27 maggio 2014

Non a tutti l'Italia fa schifo


«Anche se è difficile, fare giornalismo in Italia è molto più interessante che farlo nel mondo anglosassone». Il suo nome, Rachel Sanderson, e la sua forte inflessione inglese nonostante viva nel nostro Paese ormai da 17 anni, non avrebbero mai lasciato presagire una dichiarazione d’amore così spassionata. Anche il suo aspetto da ragazzina stride. Sia con i suoi 40 anni candidamente dichiarati sia con la materia di cui si occupa, economia e finanza. «Il fatto è che qui in Italia il mercato è ancora ristretto, si fa un po’ tutto in famiglia e, come in ogni famiglia, le regole ci sono ma non così formali. Le persone sono ancora disposte a parlare senza l’intermediazione dei portavoce, di certo ci sono molti più spifferi di notizie, che per un giornalista sono sempre materia preziosa». Già, ma questi spifferi possono anche distorcere ciò che avviene all’interno delle mura. Il rischio di notizie manipolate è senza dubbio maggiore che all’estero, dove il mercato è aperto agli investitori internazionali e quindi richiede molta più trasparenza e regolamentazione. «Ero a una cena a Londra, poco prima di trasferirmi in Italia per lavorare come corrispondente di Financial Times. Ricordo che una banchiera italiana mi mise in guardia: tenteranno di farti dire quel che vorranno, perché le news delle testate straniere sono fonti per le agenzie di stampa nazionali». Tuttavia, non sembra particolarmente provata, Rachel Sanderson, che difende l’atteggiamento nostrano – sia dei giornalisti che degli agenti di mercato - come questione culturale e storica, lasciando almeno per una volta da parte il sermone sulla corruzione che penetra dai mille buchi del nostro stivale.



«Lavoravo ancora per Reuters e intervistai Renato Brunetta il primo giorno in cui era nella squadra di Berlusconi. Insomma, erano tempi di crisi e mi venne spontaneo chiedergli se l’Italia avrebbe venduto il suo oro. Lui rispose: oh beh sì, vedremo. Avevo la notizia, anche se mi convinse una mia collega a pubblicarla. Io in realtà mi facevo un po’ riguardo verso Brunetta. Era il suo primo giorno, magari non aveva ancora capito che certe cose era meglio non dirle al telefono». Di certo Mario Draghi, Renato Brunetta e tutti gli azionisti che in quel momento vissero i movimenti tellurici del mercato non avranno provato verso la Sanderson la stessa simpatia che ho avvertito io mentre ascoltavo i suoi racconti. Eppure c’è una frase che ritorna come un mantra nella nostra chiacchierata: «Noi giornalisti economici dobbiamo sempre pensare che il mercato sia il nostro capo-redattore». Basta una notizia apparentemente marginale, come un problema tecnico della Apple nell’implementazione del suo nuovo tablet, per destabilizzare i mercati. In Italia meno che all’estero, perché il mondo della finanza è ancora piuttosto isolato, ma, da quando gli investitori stranieri si stanno interessando ai nostri titoli azionari, le cose stanno cambiando. La differenza tra il giornalismo anglosassone e quello italiano, secondo la Sanderson, è che da noi c’è meno cameratismo, le persone sono più disposte a dare soffiate. Anche sulla società in cui lavorano (loro o i partener). Così l’individualismo, che da sempre siamo i primi a rimproverarci, non è solo una macchia. Almeno non sulla camicia dei manager di borsa o dei giornalisti in cerca di notizie. 



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