domenica 4 maggio 2014

Da Aristotele a Locke

No, non sto per scrivere un articolo di filosofia. Certo è, però, che Steven Knight, regista e sceneggiatore di Locke, doveva avere ben chiare le unità aristoteliche - tempo, spazio e azione - quando ha creato questo film.
Tutto accade in una notte. E all'interno di una Bmw X5. Sfrecciando sulla M1, l'autostrada tra Birmingham e Londra, Ivan Locke (Thomas Hardy) cerca di raccogliere e ricomporre le macerie che tutto a un tratto hanno preso il posto della sua solida vita. E la metafora non è causale: Ivan è un costruttore, capo cantiere per l'esattezza, e sta per portare a termine il suo progetto più ambizioso, un palazzo di 55 piani che staglierà i cieli del vecchio continente e sarà la costruzione più grande d'Europa. All'indomani dell'inaugurazione, tuttavia, Locke viene licenziato. Non potrà infatti presenziare alla grande colata perché sta per diventare padre, ma a partorire non sarà la moglie Katrina, che invece lo attende a casa con i due figli, bensì Bethan, una donna sola e fragile che gli aveva fatto da assistente durante una trasferta di lavoro.



E così Ivan sale in macchina con una carriera avviata, una famiglia felice e un'identità rassicurante, ma queste gli sfuggono di mano nel corso del tragitto e della notte. Cerca disperatamente di riafferrarle, di tenere ogni cosa sotto controllo, con una compostezza quasi inquietante. Le sue emozioni, però, non seguono lo stesso gioco e sgomitano per avere un posto sulla scena, generando un temperamento intermittente. Un po' come la palla da football di cui parla il figlio, quell'oggetto - il destino - che il giocatore riesce a tenere in mano saldamente, a controllare, senza demandare agli altri. Proprio come lo spettatore davanti a una partita, Ivan rimbalza emotivamente tra una telefonata e l'altra. E' calmo e razionale mentre spiega a una Bethan in lacrime, sul punto di partorire, che non la ama né la odia, perché lei è stata semplicemente l'incidente di una notte. Lo è altrettanto quando espone alla moglie le ragioni del suo tradimento e programma in successione ordinata le azioni da svolgersi l'indomani per ritornare una famiglia felice. Lo stesso atteggiamento placido gli fa da scudo con il datore di lavoro Gareth, che gli annuncia il licenziamento. Ma non riesce a trattenere le lacrime, e nemmeno a dire ti voglio bene, se all'altro capo del telefono c'è uno dei figli, che gli racconta eccitato l'andamento della partita di football. Neppure con l'operaio ubriacone Doleman Ivan è in grado di mantenere un aplomb distaccato: si agita inferocito, ride ed esulta insieme a lui. E la rabbia? Quella la riserva al padre morto, con cui dialoga guardando nello specchietto retrovisore, quasi come fosse uno delle luci che costeggiano la route. C'è un desiderio di rivalsa nella conversazione ultra-terrena tra Locke figlio e Locke padre. Perché Ivan ha riscattato il suo cognome, anche lui ha commesso errori, ma li pagherà. Troverà una soluzione. Quale, tuttavia, non ci è dato sapere.
Definita una pellicola minimalista, Locke è un buon esempio di come sia possibile realizzare un film a basso budget (sono state usate solo 3 videocamere digitali Red Epic, montate all'interno dell'auto, per giunta unica location), in poco tempo (quattro giorni di prove e otto notti di riprese) e zero effetti speciali. E non solo un film, ma un film che emoziona. Tanto da essere tra i più applauditi ai fuori concorso del Festival di Venezia. Un film in cui un solo attore dà vita al dramma dell'esistenza.

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